IN DIFESA DELL’OUT OF POCKET

12 LUG – Gentile Direttore,
nel suo articolo del 7/7/2019 su queste colonne, il Dott. Vecchietti sostiene che dobbiamo sopprimere le detrazioni al 19% sulle spese sanitarie private effettuate di tasca propria, e che dobbiamo incentivare la Sanità Integrativa. Ricordiamo che già oggi la sanità integrativa gode di un trattamento fiscale più favorevole di quello delle spese di tasca propria: una polizza porta ad un risparmio d’imposta crescente col reddito in quanto eguale all’aliquota marginale, che per redditi elevati è più che doppia rispetto al 19% accordato alle spese di tasca propria.

Mi sembra un paradosso che un sostenitore del libero mercato si sbilanci così apertamente, chiedendo alle autorità pubbliche di alterare la concorrenza tra forme privatistiche di finanziamento della sanità. Perché dovremmo azzerare i vantaggi fiscali se i cittadini effettuano le spese sanitarie di propria iniziativa e invece lasciarli intatti e consistenti se tali spese transitano attraverso intermediari privati? La risposta, a mio avviso è semplice: perché gli italiani dopo un poco si accorgono che tutte quelle caratteristiche che rendono la spesa sanitaria di tasca propria “utile, comoda, rapida, individualizzata” non vengono allo stesso modo garantite dalla sanità integrativa.

Ma vi è di più che una semplice paura che la curva di espansione della sanità integrativa cominci a divenire meno ripida, minacciando una stasi: l’attacco alle spese di tasca propria potrebbe forse essere il cavallo di troia per arrivare ad una meta più ambiziosa, ovvero l’almeno parziale smantellamento della sanità pubblica. Solo, infatti, appropriandosi dell’intero mercato privatistico, i fondi integrativi (e le assicurazioni private che li gestiscono) potrebbero lucrare quelle economie di scala e di scopo che li renderebbe competitivi rispetto al SSN, cominciando ad attaccare, al contempo, il potere monopsonistico pubblico e lanciando un’opzione sulle professionalità apicali che nel pubblico lavorano e lo rendono qualitativamente superiore alla galassia del privato.

In realtà, forse senza capirlo pienamente, la sanità italiana aveva già raggiunto quell’equilibrio tra componenti di investimento in capitale umano (SSN) e componenti di consumo (spese di tasca propria) che gli utenti richiedono ad un buon sistema sanitario. E le assicurazioni private ed i Fondi ne sono, da sempre, stati esclusi, credo giustamente, non garantendo appieno né le componenti d’investimento né quelle di consumo.

Si è tentato, da parte dei precedenti governi, di stimolare l’intermediazione volontaria, garantendo agevolazioni fiscali ai Fondi integrativi e al welfare sanitario, con la complicità di sindacati ed imprese, ma oggi sono proprio gli attori aziendali ad avviare un sano ripensamento sul tema.

Di qui una possibile strategia: minare la vera componente integrativa, quella che garantisce ai cittadini gli attributi di libertà, rapidità, comodità nell’utilizzo, che il mondo pubblico non può e non vuole dare, cioè il mondo delle spese di tasca propria, per indebolire il settore pubblico che contava su quella salutare integrazione (a pagamento scontato) per potersi concentrare sulla sola cosa d’interesse per lui e cioè la salute della collettività.

Prima di arrivare ad un esame dei dati, peraltro di difficile verifica, essendo omesse le fonti, presentati dal Dott. Vecchietti a supporto del fatto che il meccanismo delle detrazioni sanitarie “è più costoso, regressivo e diseguale territorialmente rispetto a quello degli oneri deducibili applicato alla Sanità Integrativa”, vorrei spendere due parole sulle due argomentazioni basilari portate dall’autore a giustificazione della “indegnità” delle spese di tasca propria a vedersi riconosciuta una detrazione d’imposta: inappropriatezza e impulso all’evasione fiscale dei professionisti sanitari.

Lungi dal negare l’esistenza dell’inappropriatezza di alcune prestazioni sanitarie di tasca propria, non accuratamente vagliate dai medici (qualcuno potrebbe dire che se così non fosse la detrazione dovrebbe essere maggiore del 19% e che, d’altra parte, il tempo risparmiato vale pur bene qualche euro), sarebbe opportuno che l’autore menzionasse anche le fonti d’inappropriatezza delle spese integrative, tra cui le duplicazioni (ricordiamo che la quasi totalità dei fondi (tipo B) può garantire fino all’80% delle prestazioni in servizi che duplicano quelli pubblici e non li integrano) e l’azzardo morale (abuso di servizi rimborsati, per definizione assente nel mondo di tasca propria). 
  
Proprio quest’ultimo aspetto merita un’ulteriore menzione: come potrebbe essere digerito dagli utenti che le compartecipazioni che ogni Fondo chiede di pagare per disincentivare l’azzardo morale, pur pagate sulla stessa prestazione che dovrebbe essere appropriata perché “riconosciuta” dal Fondo stesso, non siano almeno detraibili, mentre la parte a carico del Fondo, che potrebbe contenere anche una quota di utili del gestore, sia addirittura deducibile dal reddito perché finanziata con premi incentivati?
 
Quanto all’impulso all’evasione fiscale nel mondo di tasca propria, il discorso ci porterebbe lontano, e non è questa la sede (in linea di principio dovremmo arrivare ad una situazione come quella dell’intra-moenia, dove c’è un sostituto d’imposta e tutte le spese di tasca propria vengono registrate): l’autore ci dovrebbe però spiegare perché quei 2-2,5 miliardi di maggiori imposte (ottenute applicando un’aliquota media del 33% circa ai 6-8 miliardi di base imponibile che presume recuperare, azzerando, supponiamo, la componente di spesa di tasca propria) non dovrebbero essere completamente compensate dalle maggiori deduzioni da garantire alla sanità integrativa, rispetto alle detrazioni oggi pagate sulle spese di tasca propria da sopprimere.
 
Infatti, in un recente articolo di Marenzi-Rizzi-Zanette (Politiche Sanitarie, 1/2019), si stima che l’incidenza media del beneficio fiscale su quanto versato per gli iscritti ai Fondi di tipo B, è del 44%, cioè un 23% maggiore della detrazione concessa per le spese di tasca propria: se, per ipotesi, tutta la spesa di tasca propria fosse intermediata dai Fondi, basterebbe moltiplicare tale 23% per l’importo di spesa sanitaria privata indicato dal Dott. Vecchietti (18,5 miliardi di Euro) per ottenere maggiori oneri per deduzioni di oltre 4,2 miliardi.

Veniamo infine ai dati, a mio avviso utilizzati in modo scorretto: l’autore confonde i piani della spesa fiscale e della quantità di servizi garantiti a fronte di quella. L’ammontare delle detrazioni per spese di tasca propria sono molto maggiori delle deduzioni garantite a fronte di polizze integrative per la semplice ragione che i servizi utilizzati di tasca propria sono molto superiori a quelli garantiti dal settore integrativo: come si è già citato, per euro speso dal cittadino (spese di tasca propria o polizze integrative), le polizze integrative costano molto di più al fisco.

Sono, infine, le detrazioni sanitarie più regressive e diseguali territorialmente? L’autore presenta dati sulle spese di tasca propria ma tace sulla regressività delle polizze integrative: sempre citando l’articolo di Marenzi et al. (2019) “all’80% più povero della distribuzione del reddito……(va) solo il 15% dei benefici fiscali dei fondi di tipo A e il 25% dei benefici fiscali dei fondi di tipo B”. Infine, la stessa fonte riporta che, per quanto riguarda i contributi pagati ai fondi di tipo B (da cui sono generate, con meccanismo progressivo, le deduzioni d’imposta corrispondenti) il Nord versa il 63,2% del totale, mentre il Sud e Isole solo il 12,4%: dove sta la differenza con le spese di tasca propria?

Concludendo, l’autore dovrebbe rassegnarsi: il mercato in cui opera è differente da quello delle spese di tasca propria, in quanto il settore integrativo non ne garantisce alcune delle caratteristiche, amate dai cittadini. Solo un incauto, irragionevole ed iniquo intervento fiscale potrebbe modificare le rispettive convenienze: che nessuno tocchi le detrazioni per le spese sanitarie di tasca propria dei cittadini!
 
Guido Citoni
Prof. Associato Economia Sanitaria
Università “La Sapienza”