Innanzitutto, bisogna ricordare l’art.38, in particolare il secondo comma, della Carta Costituzionale che recita:
“Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale.
I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria.
Gli inabili ed i minorati hanno diritto all’educazione e all’avviamento professionale.
Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato.
L’assistenza privata è libera.”
Una norma successiva ha stabilito che tutti i redditi debbano essere assoggettati a prelievo previdenziale: cioè sia i lavoratori dipendenti che autonomi debbono versare obbligatoriamente a una cassa una parte del loro reddito che gli verrà restituito quando avrà raggiunto l’età della pensione. E anche i redditi da lavoro che eventualmente si dovessero produrre pur essendo in pensione debbono anche questi essere sottoposti a contribuzione.
Tutti i lavoratori dipendenti, pubblici o privati, sono iscritti all’INPS e in questo istituto versano i loro contributi. I lavoratori autonomi la cui categoria è dotata di una cassa di previdenza, versano alla loro cassa di previdenza. I medici e gli odontoiatri hanno l’Enpam (aliquota nel 2020 18,5%). Gli altri versano all’Inps nella cosiddetta “gestione separata” (aliquota nel 2020 25,72% per i professionisti con partita IVA. Aliquota al 34,23% per i soggetti non titolari di partita IVA). I medici e gli odontoiatri dipendenti versano all’Inps una percentuale (circa il 33%) del reddito da dipendenza e all’Enpam una percentuale del loro reddito da libera professione se la esercitano (18,5% o possono optare per una aliquota inferiore del 50% in quanto già assoggettati a prelievo obbligatorio in un altro fondo)
L’Inps è un Istituto pubblico le cui regole vengono fissate dal parlamento; l’Enpam è una Fondazione privata le cui regole vengono decise dagli organi statutari (Assemblea e CdA, organi eletti direttamente o indirettamente dagli iscritti), con l’approvazione dei Ministeri vigilanti che non possono imporre nulla, se non in caso di bilanci negativi.
L’Inps stabilisce l’entità della pensione quando il lavoratore va in pensione sulla base di vari parametri, tra cui l’inflazione e il PIL degli ultimi 5 anni. L’Enpam stabilisce quanto renderanno in pensione annuale i versamenti fatti nel momento in cui vengono effettuati. In pratica, l’Inps “scarica” il rischio finanziario sul contribuente (se il PIL va male si avrà una pensione più bassa), l’Enpam lo assume su di lei.
L’Inps non ha un patrimonio su cui contare, per cui paga le pensioni con i contributi che gli arrivano dagli iscritti e, quando non sufficienti, chiede allo Stato di integrare (circa il 25% delle pensioni viene pagato con risorse statali). Enpam ha un patrimonio di oltre 23 miliardi, quindi paga le pensioni con i contributi che gli arrivano dagli iscritti e con il rendimento del patrimonio. I bilanci consuntivi ci dicono che finora Enpam sta accumulando patrimonio e i versamenti fatti dagli iscritti sono sufficienti a pagare le pensioni. I Bilanci attuariali (che prevedono l’andamento per i prossimi 50 anni) prevedono che tra il 2030 e il 2040 si dovranno utilizzare anche i rendimenti del patrimonio per pagare le pensioni. Significa anche che, proprio grazie al patrimonio accumulato Enpam sarà in grado di erogare una pensione a chi si iscrive oggi, a parità di versamento, del 20/25% più alta rispetto all’Inps.