Studi di Settore: strumento non veritiero per fotografare il reale reddito dei dentisti italiani

Nelle prossime settimane il So.Se., la società che cura per conto dell’Agenzia delle Entrate gli studi di settore, dovrebbe cominciare la concertazione per la modifica dello studio di settore degli odontoiatri.

Per l’ennesima volta andremo a evidenziare al So.Se. come questo strumento, così come concepito e con la crisi in atto, non fotografa la reale situazione economica dello studio odontoiatrico ma sia solamente finalizzato a fare cassa”, dice il Presidente Nazionale ANDI Gianfranco Prada.
La conferma viene scorrendo i dati che lo stesso So.Se. pubblica annualmente, riferiti ai vari periodi d’imposta; l’ultimo quello pubblicato nel maggio scorso si riferisce al 2010.

Secondo quanto riportato, negli ultimi tre anni (dichiarazioni periodo d’imposta 2008-2009-2010) i redditi degli studi dentistici italiani rimangono sostanzialmente gli stessi con leggeri incrementi. Nel 2010 rispetto al 2009 il reddito medio degli studi dentistici italiani cresce del 2,9% da 47,6 mila euro a 49 mila. Incremento dal 2008 del 1,2%; nel 2008 il reddito medio dichiarato dai dentisti italiani era di 46.200 euro.

A crescere maggiormente, in percentuale, è il reddito delle società di capitale + 7,7%, anche se il reddito dichiarato è ben al di sotto della media della professione (20,5 mila euro). Cresce anche il reddito dei 34.897 dentisti che esercitano la professione come liberi professionisti segnando un +3,3% rispetto al 2009 (47,3 mila euro il reddito medio dichiarato nel 2010). Crescono meno gli studi associati (+1,6%, 68,5 mila euro di reddito medi dichiarati) che però sono quelli che denunciano di più. 345,4 mila euro i ricavi medi dichiarati dalle società di capitale, 228,7 mila euro quanto dichiarato dagli studi associati mentre i singoli professionisti dichiarano 129 mila euro.

Una fotografia ben diversa da quanto emerge dai continui rilevamenti che il Servizio Studi ANDI effettua con regolarità ma anche da quelli pubblicati e svolti da altre società di ricerca che si occupano di indagare l’andamento lavorativo dalla professione. Dati che evidenziano cali considerevoli non solo dei pazienti negli studi odontoiatrici ma anche della redditività dello stesso.
Lo strumento dello Studio di settore – continua Presidente Nazionale ANDI Gianfranco Prada – costringe i dentisti italiani, ma anche tutte le categorie professionali soggette, ad essere congrui”.

La conferma arriva anche da un recente sondaggio effettuato dal Servizio Studi ANDI che ha indagato il “rapporto” tra dentisti e gli strumenti fiscali utilizzati per ipotizzare il loro reddito come Studi di Settore e Redditometro, che sarà pubblicato sul prossimo numero di Andi Informa in distribuzione nei primi giorni di ottobre.
Per il 43,9% lo studio di settore è uno strumento di accertamento, per il 31,2% uno strumento per compilare liste di contribuenti a rischio, per l’8,7% uno strumento di verifica messa a disposizione del contribuente, per il 5,7% nessuno dei tre, mentre non sa cosa rispondere il 10,5%.
Secondo l’indagine i dentisti ANDI si dividono praticamente a metà tra coloro che ritengono non efficace il software utilizzato per determinare il proprio reddito attraverso lo studio di settore (51,19%) e quelli che invece lo considerano veritiero (48,60%).

Un giudizio negativo che cresce ulteriormente alla domanda che tendeva a capire se l’attribuzione dei ricavi sulla base dei parametri utilizzati per il calcolo dello studio di settore corrisponde alla realtà professionale effettiva. Il 57,9% è convinta che questo non accada.
Il motivo, per il 66,8%, è perché il modo in cui lo studio di settore stima la congruità non è quello idoneo per determinare la reale fotografia della propria attività: il 29% pensa che probabilmente questo è vero mentre solo il 4,2% ritiene che il metodo utilizzato sia invece corretto.