Si segnala la risposta a interpello n. 428/2022, relativa alla qualificazione reddituale dell’imposta di bollo sulle fatture emesse dai contribuenti che utilizzano il regime forfettario
La fattispecie trattata dall’interpello si riferisce ai soggetti che esercitano la propria attività, professionale o imprenditoriale, avvalendosi del cosiddetto regime “forfettario”, previsto dai commi da 54 a 89 della legge 190 del 2014 e successive modificazioni e integrazioni.
Si ricorda che possono usufruire di tale regime fiscale agevolato le persone fisiche che nell’anno precedente hanno conseguito ricavi o compensi non superiori a 65mila euro. L’agevolazione consiste nell’applicazione di una imposta sostituiva dell’IRPEF e delle relative addizionali calcolata, per i dentisti, applicando una aliquota proporzionale del 15% su un imponibile determinato in un ammontare del 78% dei compensi annui incassati, dedotti i contributi previdenziali versati. L’aliquota è ridotta al 5% per i primi cinque anni di esercizio dell’attività.
Fatte queste premesse, si entra nel merito del quesito, afferente all’assoggettabilità o meno a tassazione dell’imposta di bollo addebitata in fattura ai propri clienti e ammontante a due euro per ciascuna fattura di importo superiore a 77,47 euro. In particolare, secondo il contribuente istante l’importo del bollo non deve “essere ricompreso nella nozione di “ricavo o compenso” richiamata dall’articolo 1, comma 64 della legge n.190/2014, tesi supportata anche dal secondo comma dell’articolo 22 del D.P.R. N. 642/1972 che nello specifico “prevede la solidarietà passiva nel pagamento, in capo a tutti coloro che fanno uso di un atto, documento o registro non soggetto al bollo fin dall’origine”. Secondo il contribuente, quindi, non sussistendo un obbligo esclusivo di pagamento del bollo a carico del prestatore d’opera, il rimborso di tale importo da parte del cliente non può qualificarsi quale compenso imponibile. Di diverso avviso è l’Agenzia delle Entrate, la quale, pur confermando la solidarietà nel pagamento dell’imposta di bollo tra emittente la fattura e committente, riprendendo la risposta n. 67/E del 2020, precisa che “l’obbligo di apporre il contrassegno sulle fatture o sulle ricevute è a carico del soggetto che consegna o spedisce il documento, in quanto per tali tipo di atti l’imposta di bollo è dovuta fin dall’origine, ossia dal momento della formazione”. Di conseguenza, secondo l’Agenzia, nel caso in cui
il professionista richieda al cliente il rimborso dell’imposta di bollo, tale riaddebito deve essere considerato “parte integrante del suo compenso”.
In altre parole, nei casi in cui l’imposta di bollo sulle fatture emesse e incassate viene rimborsata dal cliente, essa concorre alla formazione dell’ammontare dei compensi percepiti dal professionista, con la duplice conseguenza che:
- tali somme vanno incluse ai fini della verifica del limite dei 65mila euro, utile all’accesso al regime forfettario;
- analogamente devono essere considerate nella base di calcolo cui applicare il coefficiente di redditività del 78%, nei termini sopra esposti.
A ulteriore sostegno della propria posizione, infine, l’Agenzia delle Entrate richiama la Circolare n. 5/E del 14 maggio 2021, nella quale, al paragrafo 3.3, venivano estese ai soggetti “forfettari” alcune considerazioni formulate in relazione ai contributi a fondo perduto Covid-19, tra le quali, appunto, il fatto che ai fini dei calcoli utili per determinare l’ammontare dei compensi dovevano assumere rilevanza “anche le spese addebitate al cliente da parte dei professionisti per l’imposta di bollo”.