In data 27 agosto 2018 sul quotidiano online di informazione sanitaria Quotidianosanità.it, alla sezione Lavoro e Professioni è comparso un articolo a firma di Domenico Della Porta docente di Medicina del Lavoro presso l’Università Telematica Internazionale “Uninettuno” – Roma, dal titolo: “Amalgama dentale, indispensabile per le cure ma rischiosa per il lavoro sanitario odontoiatrico”.
Nel sottotitolo si legge inoltre che non esiste allo stato attuale un’alternativa terapeutica e che sarebbe necessaria la sorveglianza sanitaria per i lavoratori esposti (clicca qui per leggere l’articolo).
A fronte di queste affermazioni che potrebbero generare ulteriore e ingiustificato allarmismo tra gli operatori sanitari e presso i cittadini pazienti, ci corre l’obbligo di fare alcune precisazioni.
Nell’articolo viene citata la recente informativa del Ministero dell’Ambiente, riguardante l’utilizzo e lo smaltimento dell’amalgama dentale che, di fatto, fa seguito e si allinea al Regolamento dell’Unione Europea UE 2017/852 entrato in vigore il primo luglio 2018. In realtà una normativa che nel nostro paese non ha destato alcun sussulto professionale, in quanto gli odontoiatri italiani rispettano da oltre 15 anni le norme presenti nel richiamato regolamento, ovvero da quando fu introdotto il Decreto dell’allora Ministro della Salute Girolamo Sirchia in data 10 ottobre 2001, riguardante sia la tipologia di pazienti sui quali non effettuare otturazioni in amalgama (donne in gravidanza ed in allattamento) e soggetti in età evolutiva, sia le modalità di confezionamento e utilizzo del materiale stesso. Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, utilizzo in forma incapsulata e predosata, si rileva che, prescindendo delle normative vigenti, nella pratica clinica tale forma è utilizzata da almeno trent’anni dagli odontoiatri italiani ed europei riducendo, anzi quasi azzerando l’esposizione al mercurio per gli operatori professionalmente coinvolti.
Anche in merito alle manovre di applicazione e di rimozione dell’amalgama dentale, recentemente l’organo consultivo della comunità europea SCENIHR non ha evidenziato maggior incidenza di effetti avversi negli operatori sanitari e anche per quanto riguarda la presunta tossicità del mercurio presente negli amalgami, l’autorevole EFSA (European Food Safety Autority) riporta che i portatori di amalgami dentali esprimono valori di concentrazioni di mercurio nei fluidi biologici da 5 a 30 volte inferiori al limite massimo di tollerabilità, stabilito dallo stesso ente.
Nell’articolo vengono altresì citate le Raccomandazioni Cliniche del 2014 (trattasi della prima edizione), ormai superata dalla successiva edizione del 2017 aggiornata ed ampliata che, proprio alle pagine 37 e 77 riportano testualmente: “per quanto riguardo l’uso dell’amalgama si rimanda al decreto del Ministro della salute del 10 ottobre 2001”, che a questo punto deve essere considerato a pieno titolo, un fiore all’occhiello della sanità ed odontoiatria italiana.
Riguardo all’affermazione che l’amalgama risulti tuttora un materiale indispensabile e non esistano materiali alternativi affidabili, supportati da ampi riscontri della letteratura scientifica possiamo affermare che al di fuori di limitati e specifici casi clinici, ad esempio l’elevata cariorecettività, l’utilizzo dell’amalgama in odontoiatria restaurativa è sensibilmente ridotto negli ultimi anni in tutti i paesi del mondo. Recenti statistiche sul biennio 2014/2016 (Fonte Key Stone), riportano un utilizzo pari al 5% dei restauri diretti, come media nei paesi europei, con un minimo pari allo 0,2 % nei paesi nordici e allo 0,7% in Svizzera, a valori compresi tra 2,3 e 3,7% nella maggior parte dei paesi continentali, fino al 7,6 e 12,9% rispettivamente in Francia e in Gran Bretagna, dove il servizio sanitario nazionale eroga la maggior parte delle terapie odontoiatriche. In Italia l’utilizzo di amalgama si attesta al 4,6%.
Non trascurabile l’ampia ed accreditata letteratura scientifica mondiale, che è concorde nell’affermare come l’evoluzione dei materiali resinosi adesivi negli ultimi 15 anni ha profondamente modificato l’approccio restaurativo, contribuendo in larga misura al quasi totale abbandono dei materiali metallici tradizionali. I compositi ed i moderni adesivi smalto-dentinali sono oggi in grado di garantire ottimi risultati a lungo termine da un punto di vista morfologico e funzionale nel restauro dentale, tanto da essere considerati il materiale di elezione. Ulteriore conferma si riscontra nelle citate Raccomandazioni Cliniche 2017: “anche le resine composite, combinate con l’uso degli adesivi dentinali, hanno dato prova di buoni risultati clinici a distanza su premolari e molari“, che comprova quanto già evidenziato dall’Istituto Superiore di Sanità lontano nel 2001 nel rapporto ISTISAN 01/33, il quale al termine di un ampio ed articolato lavoro di ricerca concludeva affermando che: “alla luce delle attuali conoscenze è lecito attendersi che il materiale restaurativo del futuro sia proprio una resina composita.”
Ed invero, la necessità o meno di procedere alla sorveglianza sanitaria non può che derivare dagli esiti della valutazione dei rischi, da effettuarsi caso per caso ai sensi e per gli effetti del D.L.vo 81/2008.
Ne discende, quindi, l’insostenibilità di un’aprioristica correlazione tra l’utilizzo dell’amalgama e la sorveglianza sanitaria all’interno degli Studi odontoiatrici, tanto è vero che la circolare INAIL menzionata nell’articolo non fa riferimento ad alcuna specifica attività lavorativa.
In altre parole, non è accettabile proporre l’equazione utilizzo dell’amalgama negli Studi odontoiatrici uguale obbligo di avvalersi del medico competente, quest’ultima eventualità imponendosi soltanto a fronte di due ineludibili presupposti, comprovati e non presunti: la presenza di un effettivo fattore di rischio e l’impossibilità di gestirlo adeguatamente mediante le misure di prevenzione e protezione adottate dal titolare del singolo Studio.
Virginio Bobba