Mercoledì 8 Luglio, all’interno del progetto Oral Health E-Campus organizzato da FDI, si è tenuta una conferenza mirata a determinare i cambiamenti che il mondo dell’odontoiatria ha dovuto e saputo apportare per fronteggiare la pandemia di SARS-CoV-2. L’incontro ha visto la partecipazione di conferenzieri provenienti da quattro continenti, operanti nelle aree più colpite dal virus, e ha registrato una buona platea di presenze, conducendo ad un vivace dibattito in chiusura. ANDI era
rappresentata dal dottor Edoardo Cavallé.
Dopo una rapida introduzione il moderatore, Dott. Paulo Melo (FDI Council – OMD), ha riassunto la progressione della pandemia a livello internazionale, soffermandosi in particolar modo su dati raccolti dai questionari FDI grazie alla collaborazione degli NLO nazionali. I risultati indicizzati ci presentano una situazione ancora molto differenziata: più del grado di preparazione iniziale, la responsività dei singoli contesti nazionali risulta estremamente disomogenea nell’affrontare la pandemia, soprattutto se messa in relazione agli indici di sviluppo dei relativi paesi. Per fornire un dato esemplificativo, il 46% dei paesi a rischio povertà risulta ancora sprovvisto di linee guida adeguate per affrontare il COVID, contro una media internazionale (già di per sé elevata) del 19%.
Gli indicatori internazionali rilevano anche una situazione difficile per gli odontoiatri dal punto di vista economico, con il 47% dei paesi che non hanno ancora formalizzato meccanismi dispensativi o compensativi per le perdite derivanti dalla chiusura degli studi (solo l’8% dichiara misure dedicate appositamente agli odontoiatri), e organizzativo, con il 30% dei paesi presi in esame ancora senza misure speciali volte a contrastare la pandemia. Due sono le questioni che sembrano impensierire maggiormente i professionisti del mondo: la gestione di pratiche generanti aerosol, e le dinamiche di acquisizione, utilizzo e smaltimento dei DPI.
A seguire, il professor Liu Yi (Università di Pechino – CSA) relaziona sulla situazione cinese. Il modello di approccio cinese scandisce l’esperienza COVID seguendo 5 tappe: una situazione iniziale (pre 23 Gennaio); 3 mesi di lockdown; una prima riapertura verso Maggio; una seconda ondata (15 Giugno); una transizione verso la nuova normalità, ancora da raggiungere.
Questa suddivisione, oltre che cronologica, è funzionale a comprendere l’evoluzione della risposta alla situazione di emergenza: in apertura, la pandemia è stata affrontata a livello centralizzato per iniziativa governativa, proponendo soluzioni drastiche (chiusure totali, quarantene, intere aree urbane sottoposte a isolamento coatto, conversione industriale per assicurare un numero adeguato di DPI). Questo dirigismo di emergenza ha permesso di arginare in tempi brevissimi una situazione altrimenti esplosiva, consentendo notevoli vantaggi dal punto di vista organizzativo e industriale.
Anche le prime linee guida sono state vagliate in sede centrale e poi distribuite alle varie associazioni; così come i programmi di riapertura, approvati e applicati a partire da metà Maggio. In questa fase, gli studi dentistici delle aree sottoposte a quarantena sono stati chiusi, e i pazienti urgenti deferiti agli ospedali adeguatamente attrezzati.
Nella seconda ondata, invece, l’approccio è stato più morbido, gestito a livello locale dalle varie associazioni sanitarie, incentrato sulla riduzione delle attività odontoiatriche alle sole emergenze e, in termini generali, su prevenzione e tracciabilità più che il semplice isolamento; in questo senso sono state sperimentate nuove tecnologie, soprattutto del settore informatico. Accanto ad app diagnostiche e di contact tracing, sono stati elaborati dei lasciapassare virtuali da richiedere quotidianamente, aggiornati seguendo l’evolversi dei movimenti e della storia clinica dei richiedenti, per orientarne e in caso limitarne la capacità di spostamento.
Proprio grazie alle tecnologie IT, CSA è riuscita, nonostante i mesi di lockdown, a operare incisivamente per la categoria. La funzione principe è stata quella di filtrare e diffondere informazioni scientificamente attendibili in tempo reale a tutti i professionisti, supportare i medici impegnati nelle terapie intensive, e mantenere attivo il contatto tra gli organismi centrali dell’amministrazione pubblica e la popolazione.
Per concludere, una nota sulla situazione economica: ricordando come gli
odontoiatri cinesi siano stati colpiti da una chiusura totale delle attività che, in alcuni casi, si è protratta per mesi, il governo sta proponendo ad oggi una riduzione delle imposte indirette dal 3 all’1%, anche se il periodo di entrata in vigore e la durata non sono ancora stati definiti con chiarezza.
La dottoressa Jina Lee Linton (KDA) relaziona a seguire sulla situazione in Sud Corea. La Repubblica di Corea ha scelto una via morbida e programmatica nell’affrontare il virus la quale, nonostante la scelta di non dichiarare mai il lockdown locale o nazionale, dati alla mano sembra aver dato risultati eccellenti: solo 12.904 casi confermati, con una mortalità appena sotto il 2,2%.
Questo risultato è stato possibile sulla base di un approccio in 5 punti: trasparenza informativa, innovazione, test a tappeto, alta preparazione degli operatori della sanità, cooperazione della cittadinanza. Le tecnologie dell’informazione hanno permesso di incanalare proficuamente il flusso di dati in entrata e in uscita agli enti preposti a gestire la crisi, con un utilizzo massiccio di campagne di informazione, sensibilizzazione e app diagnostiche, oltre che di tracciamento.
Si è intervenuto subito per isolare casi sospetti o lievi in strutture di contenimento attrezzate all’interno di hotel vacanti, risultato raggiunto tempestivamente grazie alla grande capacità di somministrare test sierologici; ne sono stati eseguiti 23mila al giorno, fin dalle prime avvisaglie epidemiche, per un totale di 1.170.000. Va infine ricordato come, dichiarato lo stato di emergenza sanitaria nazionale, il governo ha decretato di rendere test, ospedalizzazione e quarantena in strutture attrezzate completamente gratuito per i coreani.
Il governo si è anche occupato di provvedere alla fornitura di DPI a enti pubblici e privati, distribuendone gratuitamente una quota tramite le
farmacie di quartiere. Grazie a questo approccio in 5 punti, la Repubblica di Corea è riuscita a portare al voto 30 milioni di persone, senza che questo comportasse picchi epidemici. Allo stesso modo, la Seoul International Academic Exhibition si è potuta svolgere, a Giugno, con la partecipazione di oltre 7 mila invitati. Sul versante economico, in Corea le cliniche dentali non hanno alterato la loro attività: tuttavia, attorno al picco epidemico del mese di Marzo, si è registrata una riduzione dei pazienti pari a circa il 30%. Misure dispensative e compensative sono state proposte solo per quelle cliniche che, causa contatto con un portatore, hanno dovuto chiudere per un periodo superiore alle 2 settimane; parte di questi fondi sono già arrivati a destinazione.
In apertura alla sua relazione sulla risposta iraniana, il dottor Kaveh Seyedan (IDA) ha sollevato per primo un punto poi focale durante la discussione finale: la necessità di considerare la transizione verso la normalità come un processo molto lento, che in ogni caso non porterà verso il passato ma dovrà capire come articolare un nuovo paradigma per il futuro della professione e, in generale, per la medicina mondiale. Per ammissione dello stesso speaker, l’Iran si è trovato completamente impreparato alla gestione della pandemia.
Le prime risposte sono state date in modo incerto, in una situazione in cui i dati erano estremamente farraginosi, le linee guida assenti e i DPI scarsi; gli operatori della sanità iraniana hanno pertanto dovuto apprendere dai propri errori strada facendo, capendo di non aver a che fare con una semplice infezione polmonare. Anche la decisione governativa di
non mettere mai in opera una quarantena totale, di procedere in un primo tempo alla raccolta dati dei decessi e non delle infezioni, o di continuare con le riaperture nonostante un indice epidemiologico superiore a 1,2 non ha aiutato il lavoro di contenimento e prevenzione che, nella prima fase, ha visto un indice di mortalità tra i professionisti della sanità molto elevato.
Il compito del personale clinico si è strutturato seguendo 4 principi generali: la circoscrizione della pandemia; la comunicazione di linee guida e dati; il supporto a malati e persone in isolamento; la sorveglianza alle procedure di riapertura. I dentisti, gli unici dotati di ingenti scorte di DPI, hanno donato agli ospedali la totalità del materiale a loro disposizione e condiviso alcuni dei protocolli più utilizzati per prevenire, negli studi, la contaminazione medico-paziente.
Anche per questo motivo, tuttavia, ai dentisti è stata imposta la chiusura totale degli studi fino alla riapertura per sole emergenze del 6 Maggio; nelle aree più colpite, la riapertura parziale è avvenuta con un mese di ritardo. In molti casi, corsi e seminari da remoto sono state le uniche attività a
disposizione dei dentisti, per un periodo superiore ai 2 mesi. L’effetto economico sulla odontoiatria iraniana è stato molto forte: delle misure promesse a sostegno dei privati (circa il 90% degli odontoiatri iraniani lo sono) solo il calmiere sul prezzo dei DPI è stato effettuato. Molte pratiche sono state vendute, o meglio svendute, a causa dei costi di gestione elevati e della assenza di clienti, spaventati dalla possibilità di contagio.
A chiudere, il dottor Edoaro Cavallè (FDI Council – ANDI) ha riportato la situazione italiana, partendo daun focus specifico sull’incipit dell’epidemia nel lodigiano e in area lombarda. Dopo le prime avvisaglie di polmoniti particolarmente invasive, e la dichiarazione delle zone rosse, l’attività odontoiatrica è stata sospesa, con l’operatività ridotta alle sole emergenze. Studi più dettagliati hanno progressivamente anticipato la presenza del virus in area lombarda, databile forse a fine Ottobre dell’anno passato.
Tra le perplessità e le incognite più diffuse nel mondo dell’odontoiatria italiana quelle attorno all’approvvigionamento dei DPI e al loro utilizzo, oltre ai protocolli da adottare in caso di infezione. Si riscontra anche, da più parti, una forte incertezza per il futuro della professione, costretta da tempi prolungati e protocolli costosi. In Italia, da studio ISS, l’età media del paziente deceduto a causa del COVID è di 80 anni, con una discreta preminenza di pazienti maschili su quelli femminili (58%). I decessi sono spesso associati a comorbilità con una o più delle seguenti patologie: disfunzioni dell’apparato cardiorespiratorio, ipertensione e diabete di tipo 2. Nonostante il numero elevato di decessi tra i professionisti della sanità, si rileva in Italia come in altri contesti un indice di mortalità tra dentisti e personale ausiliario molto contenuto; l’esistenza di solidi protocolli per prevenire la contaminazione medico-paziente, unita al corretto utilizzo dei DPI di base, sembrano presentare l’odontoiatria come una delle specialità che meglio ha saputo affrontare la crisi. La discussione, orientata dalle domande poste in tempo reale dalla platea, hanno affrontato temi puntuali come questioni di più ampio respiro.
- Utilizzo continuativo di DPI.
I dati sembrano confermare chiaramente come i DPI adottati normalmente siano sufficienti a prevenire il contagio; nonostante i
problemi iniziali derivanti dal rifornimento e le incognite legate al loro smaltimento, restano attrezzatura necessaria per operare in
sicurezza. Una nota particolare in supporto alle mascherine chirurgiche che, tranne in situazioni ad alto rischio e se appaiate con
occhiali o meglio visiera, sembrano proteggere egregiamente le mucose del professionista. - Protocolli di areazione e procedure generanti aerosol.
Dopo un momento iniziale ricco di ritrovati tecnici e strumentazioni, a volte di dubbia efficacia, proposte da numerose aziende, si è constatato come l’aerazione di circa 10-15 minuti e la pulizia frequente dei filtri nei sistemi di condizionamento sia in realtà
più che sufficiente per la dispersione aerea del virus. Tuttavia, viene rilevato come le procedure di aspirazione e aerazione delle aree, oltre a non essere ovunque praticabili con lo stesso agio, finiscano per prolungare le sessioni odontoiatriche; anche l’utilizzo di strumenti manuali, per evitare la generazione di aerosol, contribuisce ulteriormente a questa dilatazione temporale.
Nonostante, ad oggi, non ci siano prove chiare della trasmissibilità del virus via aerosol ma solo via droplets, nel lungo periodo la soluzione più radicale parrebbe essere non la limitazione, ma la sospensione dell’utilizzo di strumenti generanti aerosol; una impresa che richiederebbe di mutare radicalmente il paradigma tecnico ad oggi seguito. - Web e Tele Odontoiatria.
Il web si è dimostrato uno degli strumenti più preziosi per gestire l’emergenza: utilizzando mezzi tradizionali, la circolazione
dell’informazione sarebbe avvenuta ad un passo troppo lento per contenere l’incisività della pandemia. App di tracciamento, dati
epidemiologici organizzati in database opensource, chat e mailing list con potenzialmente milioni di partecipanti sono state fondamentali per organizzare le decisioni dei governi, la risposta dei professionisti e la collaborazione della popolazione. Un discorso a parte va invece fatto per la tele odontoiatria. Nel parere di tutti i convenuti, questa tecnica del futuro soffre nel presente ancora di troppe incognite di varia natura: clinica, procedurale, legale. Voler forzosamente spingere sul suo sviluppo in una condizione di emergenza potrebbe risultare controproducente; meglio, in questo frangente, continuare a operare in presenza con metodi comprovati, e lasciare la sperimentazione a tempi migliori. - Futuro dell’odontoiatria.
Tema complesso, toccato all’interno di altri interventi (Melo, Yi, Seyedan). Si possono distinguere due linee di argomentazione
principali. Da un lato, il conclamato ritorno alla normalità, intesa come situazione precedente il virus, resta una chimera. Da un
lato, si rileva come il virus resterà tra noi molto a lungo, senza mutare o cambiare con modalità prevedibili; secondariamente, e più incisivamente, perché le limitazioni e le precauzioni adottate nella pratica andranno a rifondare i protocolli di intervento per l’intera professione medica. Non si deve quindi vedere il futuro come un ritorno, ma come un movimento verso una nuova normalità, una nuova forma di odontoiatria orientata dalle soluzioni vincenti adottate durante questa fase di emergenza.
In secondo luogo, quello che bisogna superare per provare a costruire un nuovo normale è la paura relativa al virus. La “Covidfobia” si sta effettivamente dimostrando più difficile da contenere del virus stesso: questo è vero tanto per i professionisti, spesso mossi da perplessità infondate riguardo le condizioni di sicurezza, quanto per i pazienti, che ancora considerano lo studio dentistico come uno dei poli di infezione più pericolosi. Anche a livello governativo, i vari tavoli tecnici sembrano soffrire, in misura variabile, di questo costante senso di panico. I dati contrastano chiaramente questi timori, che tuttavia restano diffusi: diviene quindi fondamentale, per il futuro della salute orale, un programma che miri a rassicurare, sulla base dei dati finora raccolti, sulla sicurezza della professione.