Lo sottolinea Alberto Oliveti, in qualità di Presidente Adepp, nel corso di una intervista al quotidiano Sole24Ore, nel corso della quale affronta i temi legati alla prossima legge Finanziaria, le scelte legate agli investimenti e alla possibilità di ridefinire i termini entro i quali le Casse possono sostenere i propri iscritti.
Come rileva il Sole24Ore, “le Casse di previdenza dei professionisti sono state molto attive in questi mesi di crisi pandemica. Hanno anticipato i seicento/mille euro riconosciuti per tre mesi agli iscritti con redditi sotto i 50mila euro richiesti da circa mezzo milione di professionisti. Un’azione che ha aiutato a sbloccare il dialogo tra Casse e Governo e la prossima finanziaria potrebbe essere un primo importante banco di prova.”
Al primo posto, tra gli auspici di Oliveti, la defiscalizzazione dei sussidi assistenziali erogati dalle Casse che sono stati sono stati tassati come reddito dal Governo, dopo aver escluso i professionisti dai contributi a fondo perduto.
Sempre in tema di tassazione, il Presidente Adepp ha rilevato un’ulteriore anomalia legata alla tassazione dei rendimenti finanziari, che per le Casse è del 26% mentre per i fondi pensione solo del 20%; con l’aggravante di una nuova tassazione all’erogazione della pensione, cosa che invece non accade ai fondi di previdenza complementare.
Questo particolare argomento è stato affrontato da Oliveti nella dettagliata nota a sua firma riportata di seguito, dove evidenzia come la doppia tassazione sulla previdenza in Italia, rappresenti un freno notevole per la competitività del Paese anche in Europa.
“Gli enti di previdenza italiani hanno assunto a pieno titolo il ruolo di investitori istituzionali, contribuendo allo sviluppo non solo delle categorie professionali di riferimento, ma anche dell’intero Sistema Paese e di conseguenze dell’economia europea. Le scelte strategiche di allocazione del patrimonio delle Casse non perseguono scopi speculativi ma sono improntate ai criteri di prudenza, rendimento, salvaguardia e garanzia delle prestazioni future agli iscritti.
Tuttavia, in Europa non esiste una standardizzazione delle regolamentazioni degli Stati membri sulla tassazione del settore previdenziale. Questo fa sì che gli enti di previdenza italiani subiscano imposte molto più elevate rispetto agli altri Paesi. Ciò si traduce in una maggior difficoltà nel raggiungimento degli obiettivi istituzionali, ostacola la loro capacità di fare investimenti e crea uno svantaggio competitivo per i professionisti iscritti a questi enti rispetto ai concorrenti di altri Paesi europei. Il problema sta nel sistema di tassazione adottato in Italia che colpisce due fasi su tre del ciclo previdenziale (modello ETT: Exempt, Taxed, Taxed). Vengono cioè esonerati da tassazione i contributi versati dagli iscritti, ma vengono poi tassati sia i rendimenti degli investimenti, quando non gli investimenti stessi (es: Iva, Imu), sia gli assegni pensionistici pagati nella fase post-lavorativa.
Un’imposizione fiscale al 26% sui rendimenti degli investimenti è disincentivante rispetto all’obiettivo di sostenere lo sviluppo del Paese e attraverso di questo l’economia europea.
Inoltre, in un mercato unico europeo, i professionisti italiani sono costretti a maggiori accantonamenti previdenziali a causa dell’elevata tassazione a cui sono sottoposti i loro enti. I professionisti sono dunque costretti a scaricare gli extra-costi sui clienti finali. Questo meccanismo indebolisce la capacità di competere dei professionisti italiani nello scenario europeo, rendendo le loro prestazioni professionali meno attrattive.
Raggiungere una maggiore uniformità a livello europeo della tassazione degli enti di previdenza, con un superamento della doppia tassazione italiana, permetterebbe agli stessi enti di raggiungere con più facilità gli obiettivi di sostenibilità a lungo termine, incentiverebbe gli investimenti, ridurrebbe i costi per i professionisti e accrescerebbe la loro competitività in un mercato del lavoro senza frontiere.”