Un’intervista a tutto campo quella rilasciata da Antonella Polimeni ad ANDInews, che ribadisce il suo punto di vista sul ruolo dell’Università, sui suoi progetti per l’Ateneo romano e sul quadro generale dell’Università italiana.
Prima Rettrice donna dell’Università di Roma La Sapienza in oltre 700 anni di storia ed è stata eletta al primo turno con il 60% di preferenze. Ritiene la sua elezione un importante segnale di cambiamento?
A me, in genere, piace parlare di merito e metodo. È indubbio che la mia elezione abbia rappresentato una novità che ha travalicato l’ambito più squisitamente accademico: è la prima volta, in 717 anni di storia, che La Sapienza ha una Rettrice. Il dato che però a me piace sottolineare è che l’elezione del Rettore de La Sapienza questa volta sia avvenuta al primo turno, con il 61% delle preferenze: questa è una vera novità. Poi, sicuramente è anche una importante novità di genere che, ripeto, esiste, ma nelle mie considerazioni di merito e di metodo, la mia elezione è da considerare come un segno di grande unitarietà dell’Ateneo. Rappresenta, infatti, il consenso ricevuto a una proposta condivisa con tutte le Facoltà.
Bisogna sicuramente lavorare sulla valorizzazione delle eccellenze femminili e sull’autorevolezza. La mia storia è quella di un percorso all’interno delle istituzioni e quindi di un curriculum che mi ha consentito di maturare esperienze e di propormi alla comunità accademica sulla base delle mie proposte e non sul mio genere.
Nella mia elezione ho ricevuto un consenso da parte non solo dei Professori, ma anche, e soprattutto, da parte del personale tecnico e amministrativo, oltre che degli studenti, che mi hanno votato con una percentuale altissima, vicina al 90%. Questo per me è un elemento determinante, perché l’Università è fatta dalle generazioni future e quindi gli studenti sono e saranno una stella polare nel mio Rettorato.
Lei è anche la prima Rettrice Odontoiatra, dopo essere stata la prima Preside della Facoltà di Medicina ed Odontoiatria. La sua elezione è un segnale importante anche per il settore odontoiatrico?
Innanzitutto, voglio sottolineare che io sono Medico, specialista in odontostomatologia ed in ortognatodonzia: la mia formazione è orgogliosamente medica. Ho sempre lavorato nel nostro ateneo impegnandomi sia su compiti di Facoltà sia, ovviamente, nell’ambito dell’area odontoiatrica e spendendomi anche nel ruolo che ho rivestito dieci anni fa di Presidente del Collegio dei Professori di Odontoiatria, con azioni che andassero nella direzione di valorizzare il percorso formativo in area odontoiatrica.
Basti pensare, rispetto al post-graduate, all’attivazione della scuola di specializzazione di Odontoiatria pediatrica che è stato uno dei punti che io ho portato avanti con maggiore determinazione, in collaborazione con tutti gli altri colleghi.
Sicuramente il mondo dell’Odontoiatria accademica in questi ultimi vent’anni si è assolutamente evoluto a livello scientifico: l’Odontoiatria accademica è in posizioni di rilievo e tutto ciò va letto anche nell’evoluzione che la tecnologia nella nostra specialità ha avuto negli ultimi anni. Certamente l’Università deve agevolare il cambiamento, formando i professionisti del futuro e questo è un impegno, anche di tipo etico, che mi auguro venga continuato.
Un suo commento per quanto riguarda gli atenei, ed in particolar modo La Sapienza, in funzione dell’attesa laurea abilitante anche per il settore odontoiatrico. Quale sarà il percorso di laurea e come verranno acquisiti gli ulteriori CFU a La Sapienza?
Per il corso di laurea in Odontoiatria il percorso è molto semplice: l’azione, coordinata tra tutti gli atenei e che è in capo alla conferenza permanente dei presidenti di corso di laurea in Medicina ed Odontoiatria, sarà quella di sviluppare ed articolare, all’interno del sesto anno, i crediti formativi che già sono presenti nell’ordinamento di Odontoiatria; nel momento in cui noi siamo passati a sei anni, il sesto anno era prevalentemente pratico ed era già organizzato in questo modo.
Si tratterà di sistematizzarlo e di imputare pacchetti specifici di crediti formativi che già ci sono, quindi dal punto di vista della quantità dei crediti nulla cambierà.
Il percorso dei crediti validi per la laurea abilitante sarà lo stesso che è stato seguito nel corso di Medicina, in cui si parla di tirocinio pratico-valutativo, finalizzante alla laurea abilitante in Medicina. Per semplificare, rispetto a come era l’ordinamento di Medicina, negli ordinamenti di Odontoiatria, per arrivare alla laurea abilitante, la conversione sarà più semplice.
Lei ha definito la sua elezione una vittoria dell’università e per l’ateneo. Ha ricoperto molti ruoli di responsabilità, come ci ha ricordato, nell’arco di 25 anni all’interno di questa istituzione con un percorso accademico quasi interamente legato all’ateneo. Al centro del suo programma c’è uno spirito unitario molto forte. Quali saranno gli obiettivi fondamentali in questo senso?
Il punto cardine che vorrei sottolineare è, innanzitutto, rendere il nostro ateneo sempre più inclusivo per le nostre studentesse e per i nostri studenti, un luogo dove i nostri ragazzi si possano non solo formare, ma crescere come persone, secondo le proprie attitudini. L’azione de La Sapienza presterà sempre più attenzione verso le occasioni di orientamento, che saranno incrementate e finalizzate a maggiori aperture critiche, anche per offrire una reale pari opportunità di scelta. Sono convinta poi che in questo progetto complessivo di rielaborazione di idea di ateneo e del suo ruolo, uno spazio molto importante sarà riservato ai temi della sostenibilità, istanza molto sentita e condivisa dai nostri giovani.
Lei ha specificato che un punto importante del suo programma sarà la parità di genere, tra docenti, studenti e personale. Si impegnerà per creare una leadership femminile trasversale. Quali saranno le azioni più mirate in questo senso?
Il tema è quello di dare pari opportunità e pari capacità, che è sempre stato il mio motto, quindi consentire a chi ha capacità di poter avere pari accesso. Sul tema, che è appunto trasversale e riguarda quindi le studentesse, il personale e le docenti, abbiamo delle rappresentazioni sulle performance accademiche che nelle studentesse sono, numeri alla mano, migliori degli studenti maschi: sul piano del reclutamento, però, osserviamo ancora delle divergenze riguardo la fascia accademica ricoperta, ossia a fronte di un numero di laureate maggiore ai laureati maschi, nell’insieme del corpo accademico, le professoresse ordinarie sulla fascia più alta sono una percentuale che su scala nazionale è del 24%.
In questo caso, già La Sapienza è posizionata meglio, perché arriviamo al 27%.
Le politiche da attuare per colmare il gender gap devono andare innanzitutto nella direzione di favorire il più possibile la conciliazione del lavoro con la vita personale e familiare: azioni di sostegno per le lavoratrici, nel caso delle docenti o del personale tecnico-amministrativo.
In Sapienza abbiamo una prevalenza di dirigenza femminile altissima, quindi su questo siamo già più avanti. Riguardo, invece, la segregazione orizzontale sull’accesso delle studiose ad aree tipicamente scientifiche, quali le lauree STEM, credo che sia molto importante farsi promotori dei progetti di orientamento da portare sin dalle scuole medie inferiori.
In una fase di emergenza sanitaria come quella che stiamo vivendo, l’obiettivo primario è sicuramente quella di organizzare la formazione degli studenti. Qual è il suo pensiero riguardo la DAD, la didattica a distanza? Quale insegnamento potranno trarre gli studenti da questa pandemia e da queste difficoltà?
L’Università, così come tutta l’Istruzione, deve essere in presenza. Il ricorso alla DAD è stato ed è tutt’ora una scelta obbligata. Noi ci auguriamo di iniziare il secondo semestre ripristinando la presenza al 50%.
Dal punto di vista dell’insegnamento, questa emergenza ci lascerà sicuramente un’attenzione al processo di informatizzazione delle aule.
In emergenza, grazie anche ai fondi ministeriali, siamo riusciti ad attrezzare tutte le aree dell’ateneo, così come è successo anche negli altri atenei italiani. L’esperienza di questi mesi consentirà in futuro di sviluppare, quando torneremo tutti in presenza, una buona parte di didattica che potrà anche essere svolta in distanza, ma lo ribadisco: l’Università deve essere in presenza. La DAD può essere ancillare per alcuni moduli didattici, ma mai sostitutiva: questo è un tema che voglio sottolineare in modo importante.
Per quello che riguarda i dati di gradimento, sull’emergenza COVID, La Sapienza ha reagito subito, avviando in pochi giorni il passaggio dall’attività in presenza a quella da remoto.
Il 90% ha seguito insegnamenti a distanza e la frequenza delle lezioni, rispetto al semestre di riferimento dell’anno accademico precedente, è passata dal 76% al’84%. Lo strumento telematico è sicuramente utile per il futuro: lezioni integrative, prove di self assessment, long life learning sono segmenti su cui la formazione a distanza può essere di complemento, ma mai sostitutiva. L’Università è sempre un momento di formazione, anche sociale, quindi la presenza è indispensabile, perché ci deve essere uno scambio diretto tra il docente e l’allievo.
Crede che l’impegno dell’Italia sia sufficiente per i finanziamenti alla ricerca ed alle università?
Assolutamente no. In questo senso noi siamo sotto la media europea come paese e sono ancora pochi i laureati rispetto alla popolazione attiva: un paese che non investe in formazione e ricerca è chiaramente un paese che rinuncia al futuro. Anche in questo ambito il COVID ha acceso un riflettore sull’importanza strategica che hanno per il paese ricerca, formazione e assistenza in termini di diritto alla salute, tema per noi particolarmente importante. La Sapienza ha anche due Policlinici universitari, oltre ad un polo territoriale e siamo l’unico ateneo in Italia ad avere questa ampiezza di strutture. Non a caso formiamo il 10% della classe sanitaria tra Medici, Odontoiatri ed altre professioni sanitarie. La riflessione da sottolineare è che questo periodo ha veramente dimostrato il ruolo centrale di tutto questo.
Quale consiglio darebbe oggi agli studenti?
Il consiglio è quello di fare delle scelte consapevoli, per questo bisogna rafforzare le attività di orientamento e cominciare sin dalle scuole medie. A tutti i giovani io direi che studiare vuol dire investire su sé stessi e su un futuro che pone continuamente nuove sfide e difficoltà impreviste, come quelle che stiamo vivendo. Ma per poter affrontare qualunque sfida bisogna essere formati e preparati, non solo per aver singolarmente gli strumenti per leggere gli anni che verranno in futuro, ma anche per quel bagaglio di competenze da mettere al servizio di tutta la nostra comunità.
Quale consiglio, invece, darebbe alla classe politica?
Sicuramente non spetta a me dare dei consigli alla classe politica, mi limito però ad una considerazione: in questi ultimi mesi è emersa con solare evidenza l’importanza della ricerca, della formazione e di tutte le sue ricadute sulla società. Un riscatto culturale che ha portato in primo piano il lavoro della comunità accademica, delle istituzioni scientifiche e del mondo della sanità, nonostante i ripetuti disinvestimenti economici di una politica che comunque è sempre andata verso la contrazione delle risorse. L’Università italiana, invece, ha dimostrato in questi momenti di essere un solidissimo presidio di diritto costituzionale all’istruzione e un punto di riferimento per le energie migliori del nostro paese.
Il mio consiglio è quello di investire maggiormente in formazione, ricerca ed assistenza perché non è solo un dovere etico, bensì un investimento economico per la crescita e il futuro del paese.