Le differenze di genere nella risposta al dolore è il tema che il Prof. Ambrosio, Docente Associato di Terapia del Dolore all’Università di Padova, affronterà nel suo intervento al webinar Sindromi dolorose croniche in medicina e odontoiatria – Una differenza anche di genere, previsto per il 20 febbraio. Nella sua intervista ad ANDInews anticipazioni e considerazioni su questo argomento.
Professore, l’importanza di questo convegno sulla differenza di genere nelle sindromi dolorose croniche in medicina e odontoiatria.
Le sindromi dolorose croniche sono un problema enorme, anche un po’ misconosciuto, nel senso che siamo abituati a pensare al dolore acuto ed all’emergenza, mentre per quanto riguarda il dolore cronico c’è una sorta di passaggio “mentale” per cui si consumano molti farmaci e non si va alla radice delle cause: questo è il primo problema ed oltre a ciò va detto che il dolore cronico è una pessima compagnia perché genera tutta una serie di atteggiamenti relativi alla socialità ed al lavoro, che limitano di molto la personalità del paziente o della paziente.
A questo si aggiunge un punto fondamentale, che il convegno vuole chiarire: noi stiamo lavorando su modelli che non sempre rispecchiano la realtà. Fino a poco fa gli studi sui farmaci, soprattutto quelli sugli animali, avevano un problema di fondo, ossia che nei lavori non era indicato in modo specifico se le cavie fossero maschi o femmine, anche se spesso erano maschi. Questo è un problema, relativamente ai processamenti dei segnali dolorosi, in quanto si è visto recentemente che esistono delle differenze e quindi assumere, come validi per tutti, dei risultati ottenuti di un solo comparto diventa un volo pindarico.
Può farci un esempio pratico, rappresentativo di questa differenza, nell’ambito della terapia del dolore? Nell’ambito del processo diagnostico e della conseguente scelta terapeutica, qual è il ruolo della differenza di genere?
Innanzitutto, c’è un problema clinico, ossia che la grande maggioranza dei pazienti di dolore cronico sono di sesso femminile, dato dimostrato da quasi tutti gli studi epidemiologici. Che poi questo sia legato ad una maggiore sensibilità o a processamenti diversi del segnale, è da capire. Ci sono poi delle problematiche cliniche, come la fibromialgia, che sono al 96% circa rappresentate da pazienti di sesso femminile.
Le problematiche sono tante e ci sono studi, anche non dedicati specificatamente al problema, che hanno verificato che il punteggio dell’intensità del dolore è sempre più elevato nelle donne rispetto agli uomini, trasversalmente a tutte le patologie, anche se parliamo solamente di dati statistici. Gli studi dovrebbero essere naturalmente più ampi per decidere precisamente perché c’è questo fenomeno, però ciò che fa riflettere è che fino alla fine dell’anno 2010 l’87% circa dei lavori sui roditori, per farmaci ad esempio, utilizzava in genere animali di sesso maschile, oppure non riportava il sesso.
Questo fa pensare anche come i risultati potessero essere male interpretati, perché ci sono lavori ben più recenti che mettono in gioco le problematiche ormonali riguardo il problema dell’elaborazione del segnale doloroso, soprattutto per alcune particolari strutture, tipo la microglia, che sembrano giocare un ruolo diverso nella donna o nell’uomo. Chiaramente il dato ormonale è preciso e puntuale, resta da capire come, quando e perché questo influisca nel processo di dolore, soprattutto nella cronicizzazione del dolore.