Una pandemia nascosta: la relazione tra COVID e violenza domestica

Durante l’ultimo anno e mezzo, il mondo si è trovato a dover gestire un’emergenza sanitaria senza precedenti. La risposta locale e internazionale alla pandemia di COVID-19 si è presentata fin da subito complessa e articolata, esacerbata da una situazione in molti casi già grave dal punto di vista epidemiologico; solo la celerità di intervento e la capacità di organizzazione hanno consentito a diversi paesi di invertire incisivamente, rallentando ed eventualmente invertendo un trend altrimenti catastrofico.

  Tuttavia, con il tempo è maturata tanto negli esperti quanto nella popolazione la percezione dei rischi e delle aporie legate a misure che, sebbene di comprovato successo e assolutamente fondate sul rigore dei dati scientifici a disposizione, sono andate a modificare le abitudini personali per settimane, in alcuni casi per mesi, di decine di milioni di persone per volta; questo è vero soprattutto se messo in relazione ai lockdown totali, conosciuti da tutte le nazioni europee durante gli ultimi 15 mesi.[1] Numerose associazioni internazionali hanno fin da subito ricordato alla popolazione i rischi potenziali delle misure intraprese, e numerosi suggerimenti e linee guida sono stati elaborati per alleggerire le situazioni più problematiche;[2] tuttavia, nei periodi di lockdown, la salute psicofisica della popolazione è stata fortemente stressata praticamente ovunque, come dimostra l’aumento di richieste di assistenza registrate a livello globale.[3] Un particolare campanello d’allarme arriva dal campo della convivenza domestica; ancora poco studiato a causa della prossimità a eventi ancora in corso e della difficoltà insita nella raccolta di questa tipologia di dati, la violenza domestica basata sulle differenze di genere – fisica, verbale, psicologica – sembra aver registrato un picco preoccupante durante l’ultimo anno e mezzo, andando a costituire nelle parole delle Nazioni Unite una vera e propria “pandemia-ombra.” [4]

  “Nonostante le misure di regolamentazione del distanziamento interpersonale siano fin da subito risultate necessarie da un punto di vista epidemiologico, esse nondimeno possono aprire a nuove tipologie di rischio, ed esporre incidentalmente alcuni segmenti della popolazione ad elementi stressori per la propria salute fisica e mentale”; con queste parole si apre un recente studio sulla violenza domestica in periodo di lockdown, nella fattispecie su territorio tedesco, pubblicato dall’OMS.[5] I risultati di questo studio, che si distingue per la capacità di aver messo in rapporto diretto i fattori di rischio latenti ed eccezionali (in quanto legati alla pandemia) della violenza domestica oltre che per l’alto numero di partecipanti raggiunti, confermano definitivamente un aumento preoccupante per il fenomeno, più che raddoppiato dopo un solo mese di lockdown; un dato già di per sé allarmante, ma quasi di sicuro sottostimato rispetto alla dimensione reale del problema. Infatti, lo stigma sociale di cui spesso soffre la vittima di violenza domestica e la difficoltà di denuncia, oltre che di ammissione, del fatto, molto spesso porta a set di risposte che solo parzialmente abbracciano la complessiva estensione del problema;[6] inoltre, la percezione dell’eccezionalità della condizione vissuta ha senza dubbio contribuito ad una ulteriore limitazione delle segnalazioni di abuso. Come segnalato da altri studi,[7] [8] i fattori di rischio che sembrano esacerbare la violenza domestica sono l’incertezza economica e lavorativa (più che l’effettiva indigenza), la presenza di minori sotto i 10 anni e l’impossibilità di affidarsi a reti di supporto esterne alla famiglia; come spesso accade, le situazioni di intersezionalità tra questi fattori e altri latenti causano i picchi più significativi. Un aumento preoccupante, che va ad incidere su una situazione già estremamente grave soprattutto nel caso del genere femminile, a prescindere dalla fascia d’età.[9]

  Anche se non esistono ancora studi scientifici complessivi sulla situazione italiana, le associazioni di categoria lanciano allarmi simili sin dai primi mesi della pandemia.[10] [11] Le misure di lockdown, si legge nei comunicati, impongono in virtù dell’emergenza sanitaria a figure già a rischio di coesistere in ambiente potenzialmente ostile, senza avere possibilità di denuncia o semplicemente di fuga. La limitazione degli spostamenti costringe anche ad una comunicazione a distanza, via telefonica o mail; strumenti che, per quanto pervasivi, non riescono a raccogliere al meglio le necessità di molte vittime. In Italia durante l’ultimo anno si è registrato un trend anomalo, e molto preoccupante per gli esperti del settore. Da un lato, si è registrato l’aumento verticale delle richieste di supporto alle associazioni assistenziali: +79,5% complessivamente nel 2020 rispetto all’anno precedente, con picchi assoluti per i mesi di Aprile (+176%) e Maggio 2020 (+183%); tuttavia, lo stesso periodo ha riscontrato un crollo delle denunce per maltrattamenti occorsi all’interno della famiglia (-43,6%).[12] Nonostante servirà tempo per fornire una corretta lettura di questi dati, appare evidente come la loro dissonanza tratteggi una situazione critica.

  “La violenza sulle donne non si arresta, anzi è in aumento, come riportano i dati Istat. In particolare nella fase del lockdown, questa pandemia ha avuto l’effetto di detonare situazioni pregresse di violenza e scoperchiarne di nuove” dichiara Sabrina Santaniello, Segretario ANDI Nazionale, ideatrice e responsabile per ANDI Nazionale del progetto ‘Dentista sentinella contro la violenza di genere e sui minori’. “Si tratta di una realtà più volte denunciata: tuttavia, non sempre le istituzioni riescono a intervenire con tempestività. Noi dentisti, grazie ad un rapporto fiduciario medico-paziente, durante la nostra attività libero-professionale, possiamo intercettare casi di prepotenze, abusi e maltrattamenti familiari, riscontrando già nelle lesioni della bocca e dei denti segnali di sopraffazioni, e agire per impedire che questi possano poi trasformarsi in situazioni ancora più complesse da gestire o dal tragico epilogo. Negli ultimi due anni sono stati oltre 3.500 i dentisti che hanno preso parte al corso di formazione a distanza (FAD) realizzato ed erogato da ANDI su questo tema: un dato che conferma l’apprezzamento per un progetto che non solo non si è fermato durante la pandemia, ma continua ad essere promosso e sviluppato attraverso la Fondazione ANDI Onlus, braccio operativo dell’Associazione Nazionale Dentisti Italiani sulle tematiche sociali nel territorio.”

  “Si è parlato molto in questi mesi di long COVID, a riguardo dei sintomi di lungo periodo che i pazienti guariti si trovano ad affrontare a volte per mesi; ma per molti versi, forse è il caso di affrontare anche il tema di quello che potremmo chiamare un deep COVID, andandoci ad interrogare sugli aspetti profondi della malattia, che hanno seguito come un’ombra gli sviluppi clinici della pandemia, andando a colpire le nostre società e la nostra cultura in misure che stentiamo ancora a comprendere del tutto,” commenta Ferruccio Berto, Vicepresidente Nazionale e Responsabile Commissione Esteri ANDI. “Il tema della violenza di genere è un tema caro ad ANDI, che con il suo programma di Dentista Sentinella vuole sensibilizzare i professionisti a questa problematica, molto difficile da individuare e combattere con successo. Ci uniamo quindi all’appello di tante associazioni, nel richiedere che vengano prese tutte le misure necessarie per fermare questa seconda pandemia, meno evidente ma non meno pericolosa di quella che ci stiamo, faticosamente, lasciando alle spalle.”


[1] https://www.ecdc.europa.eu/en/publications-data/download-data-response-measures-covid-19
[2] Valga ad esempio l’iniziativa #safehome, consultabile presso la pagina dedicata del Ministero della Salute, http://www. ministerosalute.it/portale/nuovocoronavirus/dettaglioNotizieNuovoCoronavirus.jsp?lingua=italiano&menu=notizie&p=dalministero&id=4818
[3] https://www.who.int/teams/mental-health-and-substance-use/covid-19
[4] https://www.unwomen.org/en/digital-library/publications/2020/06/policy-brief-covid-19-and-violence-against-women-and-girls- addressing-the-shadow-pandemic
[5] https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC8164185/
[6] https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC2465770/pdf/ii26.pdf
[7] https://www.sciencedirect.com/science/article/abs/pii/S0145213420303549
[8] https://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=3686873
[9] https://www.who.int/news/item/09-03-2021-devastatingly-pervasive-1-in-3-women-globally-experience-violence
[10] https://www.telefonorosa.it/covid-19-crisis-management-persistent-gender-inequality/
[11] https://www.amnesty.it/covid-19-in-italia-in-aumento-casi-di-violenza-domestica-nei-confronti-delle-donne/
[12] Dati ISTAT: https://www.istat.it/it/archivio/257704 e https://www.istat.it/it/archivio/242841

Photo credits: Institute from Health Policy and Leadership – Loma Linda University