È convinzione diffusa in larga parte della società italiana che il carico delle imposte gravi essenzialmente su lavoratori dipendenti e pensionati. Non è raro, infatti, trovarsi di fronte a interlocutori che a sostegno di tale tesi solitamente portano due argomentazioni, ovvero che “dipendenti e pensionati pagano il 90% dell’IRPEF” e che professionisti e autonomi sono evasori. Tant’è che anche un arguto intellettuale come Piergiorgio Odifreddi, proprio nel corso dei lavori del congresso ANDI dello scorso settembre, ha essenzialmente riproposto la medesima ricostruzione.
A ben vedere, tuttavia, se si prendono in considerazione i dati periodicamente pubblicati dal Ministero dell’economia e delle finanze lo scenario è assai diverso: se, infatti, è senz’altro realistico ipotizzare che una fetta dell’evasione si annidi nelle transazioni effettuate da autonomi e professionisti con i consumatori finali, è incontrovertibile come la categoria che dichiara e paga di più sia rappresentata proprio dai professionisti. Ce lo dice, con dovizia di particolari, un recente studio (“Equità progressività, intergenerazionalità: l’IRPEFsecondo Confprofessioni”) pubblicato da Confprofessioni, dove, con riferimento alle dichiarazioni presentate nel 2019, viene effettivamente confermato che lavoratori dipendenti e pensionati versano circa l’82% dell’imposta, ma che, allo stesso tempo, essi rappresentano circa l’89% della platea dei soggetti passivi IRPEF. Questo dato fa capire come affermare tout court che dipendenti e pensionati pagano la maggior parte dell’IRPEF equivalga a dichiarare che a Roma si riscuotono più tasse che a Ovindoli.
Esaminando più approfonditamente i dati, Confprofessioni evidenzia come il reddito complessivo medio dichiarato dai professionisti sia di gran lunga superiore a quello indicato da lavoratori dipendenti, pensionati e imprenditori, tant’è che sui professionisti grava un’imposta media di 16.602 euro a fronte dei 4.896 degli imprenditori, dei 4.237 dei lavoratori dipendenti e dei 3.362 dei pensionati.
Oppure come l’irpef non assicuri più, anche per effetto degli interventi dell’ultimo decennio, il rispetto del principio dell’equità orizzontale, proprio a discapito dei percettori di reddito di lavoro autonomo. Tant’è che, ad esempio, a 14mila euro di reddito un professionista versa un’imposta pari a 5,64 volte quella di un dipendente, a 20mila euro una imposta di 1,96 volte, a 28mila euro di 1,33 volte. In altre parole, sullo stesso imponibile di 20mila euro un professionista sconta un’aliquota media effettiva del 20,15% e un dipendente del 11,31%.
Tali differenze sono effetto essenzialmente dei bonus e delle detrazioni più generose riconosciute ai lavoratori dipendenti: una combinazione che determina l’inquinamento dell’equità orizzontale del modello, ovvero del rispetto del principio che a parità di reddito si dovrebbe pagare la medesima imposta.
A questi numeri, incontrovertibili in quanto tali, si potrebbe obiettare che ai professionisti è comunque consentito utilizzare il regime forfettario, che può determinare significative, financo eccessive, riduzioni di imposta. Se questo è vero per chi opera attraverso strutture “leggere”, occorre, tuttavia, osservare come il forfettario non sia affatto conveniente per i soggetti che svolgono attività che necessitano di investimenti e del supporto di un minimo di organizzazione, come, il più delle volte, gli studi odontoiatrici. È uno dei numerosi effetti distorsivi del forfettario, che appare più un modello nato per “compensare” i vantaggi che l’irpef assicura ai lavoratori dipendenti che un utile strumento fiscale atto a favorire la crescita di professionisti e imprenditori. Anzi, l’esatto contrario.
Quindi, prendendo in prestito una metafora calcistica, l’attuale modello fiscale di imposizione sui redditi delle persone fisiche sembra una somma di errori arbitrali che, ovviamente, più che compensarsi finiscono per gravare proprio sui soggetti più virtuosi del sistema, ovvero chi è più propenso a investire nella crescita della propria attività professionale.
Nei prossimi numeri di ANDI OGGI torneremo sull’argomento illustrando alcune ipotesi di intervento nel contesto della prossima riforma fiscale.
Andrea Dili
Dottore Commercialista