Il 14 Maggio 2022 l’Oral Cancer Day, manifestazione organizzata da ANDI e curata da Fondazione ANDI Onlus, torna al format originale, in presenza, per la sua quindicesima edizione. Il tumore del cavo orale ha sempre costituito un tema centrale per ANDI, che intende contribuire attivamente alla sensibilizzazione dei cittadini e formare i propri associati nell’esercizio di un’adeguata prevenzione basata su una prassi di screening, fondamentale per condurre ad una diagnosi precoce. Il dentista è il primo specialista in grado di rilevare i sintomi del carcinoma orale: una diagnosi precoce infatti aumenta la probabilità di essere curati con il minimo danno, senza gravi deformazioni al volto e menomazioni funzionali.
Il riconoscimento di competenza e capacità d’azione per gli odontoiatri nella lotta alle malattie croniche non trasmissibili (NCDs) costituisce un pilastro fondamentale di Vision 2030,[1] documento di punta per la Federazione Internazionale dei Dentisti (FDI); un principio, inoltre, ribadito recentemente dall’OMS, tramite l’elaborazione della Strategia Globale per la Salute Orale.[2] Quale, dunque, la dimensione internazionale della prevenzione ai tumori del cavo orale, e quali le possibilità di interazione per il professionista con questa problematica? Ne discutiamo con la dottoressa Angela Rovera (ANDI Cuneo), ricercatrice alla Queen Mary University di Londra, e il dottor Christian Bacci, docente presso l’Azienda Ospedaliera dell’Università di Padova.
Dottor Bacci, ci aiuti ad inquadrare il problema.
In relazione al tumore del cavo orale, il mondo vive oggi una congiuntura paradossale. Di questa patologia sappiamo moltissimo: ne conosciamo pericolosità, fattori di rischio, implicazioni a medio e lungo termine; inoltre, appare un tumore tra i più facilmente rilevabili, risultando così facilmente diagnosticabile. Insomma: come patologia non è rara, non è silenziosa, non è lieve. Eppure, la sua incidenza resta molto alta a livello globale.[3] Per di più, il tumore del cavo orale è raramente conosciuto dal paziente medio, il quale spesso non collega una lesione orofaringea sospetta ad una possibile neoplasia.
La situazione ricorda quasi un dialogo pirandelliano, quello de L’uomo con il fiore in bocca: tutti parlano di questo fiore donato dalla Morte, ma solo troppo tardi si arriva a comprenderlo, e svelarlo, e chiamarlo col suo terribile nome.
Dottoressa Rovera, quali le coordinate in ambito internazionale?
In relazione alla gestione del paziente oncologico, gli organi sovranazionali hanno sempre premuto per un approccio sistemico, basato da un lato sulla cooperazione interprofessionale, dall’altro sulla prevenzione: il tumore del cavo orale non fa eccezione. Con la formale inclusione delle patologie orali all’interno dell’agenda mondiale contro le malattie non trasmissibili (NCDs), risalente al 2014 ma resa programmatica più di recente dall’Assemblea Generale OMS, e le aperture della Draft Global Resolution on Oral Health, si è aperta anche per il tumore del cavo orale (spesso, in passato, trattato come patologia a sé) la via della programmazione clinico-sanitaria su larga scala.
A livello europeo esistono numerose istanze che devono essere ricordate, prima tra tutte l’Europe’s Beating Cancer Plan, oltre all’attività di prevenzione, sensibilizzazione e ricerca portata avanti da numerose fondazioni ed enti di diversa natura. Tuttavia, al posto di un lungo elenco, preferisco qui menzionare solamente un parere programmatico: la Dichiarazione di Porto.[4] In questo breve ma incisivo documento si concentra quanto gli ultimi decenni hanno determinato fondamentale per vincere la lotta contro il tumore: l’importanza di database unificati per facilitare il confronto di dati clinici; la necessità di un approccio interprofessionale, con la creazione di un percorso che vada dalla prevenzione alla eventuale remissione postoperatoria; l’applicazione di nuove tecniche di screening e nuove tecnologie nell’approcciare la malattia. Di particolare interesse, poi, la proposta di estendere la rete di centri europei in grado di intervenire a tutto tondo sulle patologie oncologiche, detti CCCs (Cancer Comprehensive Centres).
Come gli odontoiatri possono interagire con questi trend, dottor Bacci?
L’odontoiatra ha una capacità di intervento enorme in questo campo. Innanzitutto, la sua pervasività sul territorio e la familiarità col paziente ne fanno il candidato ideale per lo screening: non è indispensabile distinguere il grano dal loglio, l’afta dalla neoplasia, quanto piuttosto identificare un sospetto di patologia. Ad oggi, solo due campagne di screening tumorale sono capillarmente e ampiamente diffuse nel mondo: quella contro il tumore della mammella, e quella per le neoplasie della cervice uterina; un risultato importante, raggiunto solo dopo decenni di sensibilizzazione. Gli odontoiatri potrebbero essere la chiave di volta nella creazione di campagne simili anche per il tumore del cavo orale.
Ma ragioniamo anche sui CCCs: una rete di relazioni che lega diversi professionisti in Italia esiste già, è rodata e funziona; sfortunatamente, esiste solo localmente e a livello informale.[5] Se si riuscissero a formalizzare queste reti, rendendole permanenti, pubblicamente riconoscibili e organizzate, potremmo istituire un iter terapeutico procedurale, in grado di abbracciare tutti i passaggi: una sorta di CCC virtuale, informato da enti di ricerca, saldamente insediato nel territorio per lo screening di primo livello e poi via via più centralizzato con il passaggio a strutture preposte alla cura. All’interno di questo sistema l’odontoiatra vedrebbe riconosciuto un ruolo che, di fatto, già si trova ad occupare.
Questa organizzazione aiuterebbe anche a far cessare sgradevoli argomenti che pongono in dubbio la capacità di intervento degli odontoiatri in questo ambito. Il dentista non è un oncologo; ma il suo ruolo non è la terapia del cavo orale quanto, come ci viene ricordato dalla documentazione internazionale, la sua diagnosi precoce. Egli può quindi, con il suo esame obiettivo – lo strumento migliore, in questi casi – esercitare una vigilanza di primo livello sui pazienti, segnalando quelli che ritiene a rischio; sta poi all’equipe oncologica costruire una terapia adeguata d’intervento. Se supportato da una formazione e un aggiornamento adeguati, questo modello può garantire grandi risultati, con riduzione della mortalità.
Dottoressa Rovera, come possono gli odontoiatri supportare queste reti di prevenzione?
Per molti anni la diagnosi e il trattamento oncologico si sono focalizzati sulla generalizzazione di dati statistici ottenuti su grandi casistiche di pazienti, senza tenere in considerazione le differenze interindividuali. Molti tipi di cancro, ad esempio, sono caratterizzati principalmente mediante l’analisi istopatologica o l’imaging. Tuttavia, è di comune riscontro clinico l’osservazione di differenti mutazioni in pazienti con lo stesso tipo di tumore; questa eterogeneità determina differenti risposte a terapia e prognosi. Pertanto, risulta sempre più rilevante l’identificazione del sottotipo neoplastico, cosa che oggi è resa possibile grazie ai nuovi approcci metodologici basati sulle cosiddette “omics,” le quali consentono la caratterizzazione dettagliata dei processi biologici correlati con i fenotipi clinici delle neoplasie, portando così all’identificazione delle differenze interindividuali.
Le omics presuppongono una massa di dati, molto diversificati, che deve essere raccolta in forme standardizzate lungo tutto il percorso vitale del paziente. Ancora una volta, dobbiamo intendere il percorso di intervento contro il tumore come una filiera: all’odontoiatra non è chiesto di diventare un esperto di omics, ma di appoggiarne per quanto possibile l’azione con la condivisione, tramite piattaforme da disporre, di dati clinici raccolti con rigore. Inoltre, pensiamo a quali benefici potrebbe portare per il professionista la possibilità di accedere ad un database ricco e solido dedicato esclusivamente a questo tipo di patologie, oltre alla capacità di poter consultare in maniera diretta un collega chiedendo consiglio su un caso sospetto.
Da questo punto di vista, quindi, le omics aprono un orizzonte estremamente favorevole anche per coloro che non sono direttamente impegnati in questo aspetto della ricerca medica, formulando i presupposti per costruire una capacità di intervento sul tumore orale perfettamente in linea con quanto elaborato a livello internazionale: una cooperazione al fine di sviluppare una medicina di precisione e personalizzata, in grado di assicurare una maggiore efficacia delle terapie scelte in base alle caratteristiche del paziente (medicina personalizzata), come ad esempio il make-up genetico individuale (medicina predittiva) oltre che della malattia (medicina di precisione).
[1] FDI, Vision 2030: Delivering optimal oral health for all.
[2] OMS, Political declaration of the third high-level meeting of the General Assembly on the prevention and control of noncommunicable diseases; Annex 3, Draft Gloal Strategy on Oral Health.
[3] L’OMS segnala i tumori della cavità orofaringea tra quelli con maggiore incidenza sulla popolazione mondiale. Ogni anno, oltre 657.000 pazienti ricevono una diagnosi di tumore orale; per più della metà (330.000), la patologia risulta letale.
[4] Porto Declaration on Cancer Research, 3 Maggio 2021.
[5] Possiamo citare a titolo d’esempio l’Ambulatorio di Patologia e Medicina Orale della Clinica Odontoiatrica dell’Azienda Ospedale Università di Padova. Grazie ad una prassi instaurata da ormai sette anni, l’ambulatorio riceve pazienti inviati prevalentemente da odontoiatri del territorio, ma anche medici di medicina generale e pediatri di libera scelta e restituisce, nei limiti delle capacità, una diagnosi, su cui poi elaborare una terapia.