Cos’è il patrimonio e a cosa serve

 Ho letto che il patrimonio dell’ENPAM è di circa 25 miliardi: sono tanti soldi! Eppure, i contributi che devo versare sono sempre molto alti. Perché ANDI non si batte per diminuirli o, in alternativa, per aumentare la pensione che prenderemo? Accumulare patrimonio non serve agli iscritti, specie in un periodo di crisi di lavoro come questo che stiamo attraversando e di cui non si vede la fine.

Lettera firmata

 Caro collega,

Grazie per il problema che sollevi: è molto sentito!

Il patrimonio dell’ENPAM, come di tutte le Casse dei professionisti, non è altro che la somma dei contributi degli iscritti che non sono stati usati per pagare le pensioni e che, nella legge di privatizzazione del 1994, dovevano garantire il pagamento delle pensioni per almeno 5 anni nel caso non fossero più entrati contributi. Questa funzione, come vedremo è cambiata nel 2011.

10/15 anni fa la “gobba previdenziale”, cioè l’aumento dei lavoratori che sarebbero andati in pensione nel decennio 2020/30 costrinse i governi dell’epoca a interventi restrittivi che culminarono con la riforma “Monti-Fornero”. Questa coinvolse anche le Casse di previdenza dei liberi professionisti. Non entriamo nella critica al provvedimento, consistette nel riformare completamente i criteri cui le Casse dovevano attenersi per dimostrare la loro capacità di pagare le pensioni (sostenibilità): in pratica ENPAM dovette dimostrare di poter pagare le pensioni per i successivi 50 anni esclusivamente con i contributi versati dagli iscritti e dal rendimento del patrimonio, quindi senza poter utilizzare il patrimonio stesso. Questo è stato giustificato con la necessità di garantire le giovani generazioni che dovevano avere la certezza di avere la pensione (per questo si è passati improvvisamente da 15 a 50 anni di sostenibilità). I bilanci attuariali (cioè l’andamento delle entrate e delle uscite calcolate dagli attuari, professionisti specializzati in questo) hanno dimostrato che la riforma varata nel 2011 dall’ENPAM garantisce l’equilibrio richiesto dalla legge. Se non l’avesse dimostrato, la legge prevedeva un automatico passaggio alle regole previdenziali dell’INPS, facendo perdere l’autonomia decisionale alla categoria. In quei bilanci è evidente che per un quinquennio intorno al 2030 le entrate utili al pagamento delle pensioni (cioè, come detto prima, contributi più i rendimenti del patrimonio) saranno appena sufficienti a pagare le pensioni, a dimostrazione che l’intervento fatto non poteva essere più favorevole. 

ENPAM deve tener presente che le pensioni, oltre ad essere “sostenibili”, debbono essere anche “adeguate”, devono cioè consentire un tenore di vita simile a quello che si aveva quando si lavorava: anche per questo si sono dovuti aumentare i versamenti: per avere una rendita pensionistica adeguata. L’adeguatezza della pensione fu stabilita, in grandi linee, dalla categoria dei liberi professionisti nella loro consulta, valutando che questa dell’ENPAM è una pensione obbligatoria e che il singolo iscritto ha la possibilità di aumentare la propria pensione o con i riscatti all’interno dell’ENPAM o con la pensione complementare (ad esempio FondoSanità). Basta pensare che i lavoratori autonomi che versano alla gestione separata dell’INPS hanno una aliquota di versamento del 27% circa contro il 19,5% dell’ENPAM, con un rendimento più basso.

Alberto Oliveti, presidente ENPAM, e tutto il Consiglio di amministrazione, coscienti delle difficoltà degli iscritti liberi professionisti in questa crisi pandemica hanno deliberato vari interventi a loro sostegno, sia come sostegno al reddito che come dilazione dei versamenti (Vedi QUI). E in questi giorni, anche con il nuovo governo, si stanno battendo perché siano riconosciuti dallo Stato nuovi sostegni ai liberi professionisti e la possibilità di utilizzare, anche con una fiscalità di scopo (ENPAM subisce una tassazione sui rendimenti patrimoniali del 26%!), parte delle risorse per interventi aggiuntivi a favore degli iscritti.