Il primo tema trattato da questa nuova rubrica di approfondimento non poteva prescindere dallo stato dell’arte sulla pandemia COVID-19 e sugli sviluppi prevedibili per il prossimo autunno, alla luce degli studi che ANDI ha commissionato ad alcune Università italiane.
A seguire l’intervista con Lamberto Manzoli, medico epidemiologo, professore ordinario e direttore del Dipartimento di Scienze Mediche dell’Università di Ferrara.
A seconda del crescere o del diminuire dei contagi, le ipotesi sull’evoluzione del virus passano dall’ottimismo al pessimismo. È possibile tracciare un quadro reale della situazione attuale e, partendo da questa base, fare ipotesi, nei limiti dell’effettiva predicibilità, per l’autunno?
Inevitabilmente, occorre partire dai dati. Negli ultimi 15 giorni, in Italia, ci sono stati 3300 nuovi casi di infezione: 220 in media al giorno. Sembrano tanti, ma su una popolazione di 60 milioni, significa che, in ognuno degli ultimi 15 giorni, la probabilità di contrarre l’infezione è stata inferiore a 4 su un milione.
Relativamente alla probabilità di morte, questa varia enormemente in base all’età e alle eventuali condizioni cliniche ma, nel complesso, con un totale di 162 morti in 15 giorni, la probabilità di morire per COVID-19 in un giorno qualunque è stata inferiore a 2 su 10 milioni.
Per quanto il coronavirus sia ovviamente una minaccia che non deve essere sottovalutata, non occorre un epidemiologo per capire che, al momento, il rischio di infezione è molto basso e quello di morte, soprattutto per le persone al di sotto dei 60 anni, è quasi nullo. Rimane il “quasi”, perché onestamente il rischio zero non c’è e non ci sarà presumibilmente per tanto tempo.
Si può parlare di immunità e, se sì, con quale orizzonte temporale?
Inevitabilmente, l’orizzonte temporale è limitato ai pochi mesi dallo scoppio della pandemia. Al momento, si ritiene che la grande maggioranza delle persone che ha contratto il virus sia protetta, perlomeno per alcuni mesi. Sono stati documentati casi sporadici di re-infezione, ma è logico supporre che, se il SARS-CoV-2 si comporta come gli altri coronavirus, coloro che si riammalano anche dopo la prima infezione saranno una minoranza.
Quando ci potremmo attendere un vaccino utilizzabile su larga scala?
Dall’inizio della pandemia, ci sono state dichiarazioni di ogni genere. Di solito, occorrono almeno 12-18 mesi per lo sviluppo di un vaccino efficace e sicuro, ma in questo caso, visto l’impegno immenso da parte di tutte le compagnie produttrici, con il supporto dei governi, è possibile che il Ministro Speranza abbia ragione e un vaccino possa essere disponibile entro l’inverno. Al momento sono in valutazione 23 vaccini, e proprio in questi giorni sono state avviate le fasi 3 di due studi randomizzati su campioni di migliaia di persone. In ogni caso, non è semplice accorciare i tempi.
I nuovi contagiati sembrerebbero avere un decorso della malattia meno aggressivo, dipende dal virus o dal perfezionamento delle cure?
Si, da un lato, la percentuale dei decessi è calata drasticamente. Tuttavia, è possibile che ciò sia dovuto al fatto che la maggioranza dei nuovi infetti ha un’età inferiore a 70 anni, e quindi ha, di base, un rischio di morte basso. Onestamente, che il virus sia divenuto meno letale è al momento solo un’ipotesi. Riguardo alle cure, certamente siamo migliorati, ma non siamo ancora in grado di curare tutti. Per quanto sia stato identificato un farmaco che ha una buona efficacia – il desametasone – gli anziani rimangono a forte rischio.
In caso di una evoluzione stabile o ulteriormente migliorativa dei contagi, sarebbe ipotizzabile un allentamento delle misure di prevenzione utilizzate oggi negli studi odontoiatrici?
In tutta franchezza, già con i dati di oggi, per quanto in precedenza affermato sulle probabilità di contrarre l’infezione (4 su un milione in un giorno qualunque), sarebbe possibile allentare le misure attualmente utilizzate negli studi odontoiatrici. Queste misure sono state certamente utili, ma erano pensate per una fase in cui il rischio di infettarsi era enormemente superiore a quello attuale. Certamente, in caso di allentamento delle misure, bisogna essere chiari: il rischio è bassissimo, ma non è zero. Va detto, tuttavia, che per il personale odontoiatrico il rischio c’era anche prima, sebbene per altre patologie.
A questo riguardo, insieme ad ANDI ed al gruppo di ricerca del Prof. Brambilla, dell’Università di Milano, stiamo svolgendo una serie di test, con il coronavirus umano, per quantificare precisamente il rischio di infezione per il personale odontoiatrico, utilizzando diverse combinazioni di dispositivi di protezione e soluzioni acquose del riunito, durante l’espletamento delle più comuni procedure assistenziali. Purtroppo, vi è stato un notevole ritardo nella fornitura del coronavirus, ma siamo fiduciosi di avere i risultati entro la fine di agosto.
Redazione ANDINews