Il tema del rapporto di collaborazione professionale interessa molti giovani Odontoiatri, specie in questo particolare momento epocale, connotato dai drastici sacrifici ‘eccezionali’ in funzione dell’interesse collettivo della salute pubblica. L’argomento suscita molteplici interrogativi non solo sul piano etico ma anche giuridico, per cui nell’incertezza del diritto dovrebbe soccorrere una condotta solidale spontanea, ancorché sollecitata dal sociale.
La nozione di pandemia non è contemplata nel codice civile per cui i giuristi si stanno interrogando sugli effetti del Coronavirus e delle misure adottate dalle Autorità sulla nozione di inadempimento contrattuale. Del resto, anche volendo ricondurre la nozione di pandemia alla fattispecie giuridica di forza maggiore, si precisa che nel nostro ordinamento giuridico non esiste la definizione di causa di forza maggiore.
Gli effetti giuridici del COVID-19 sul pagamento del compenso professionale dei contratti di collaborazione professionale che riguardano molti giovani Odontoiatri dovranno, perciò, essere scrupolosamente valutati ed esaminati caso per caso, tenendo conto di una pluralità di fattori quali, a titolo meramente esemplificativo, i fatti portati a sostegno del ritardo e/o dell’inadempimento contrattuale, l’incidenza specifica degli stessi sulla prestazione, l’assenza di soluzioni alternative per l’adempimento, il contenuto del testo contrattuale.
Il mancato pagamento dei compensi maturati delle prestazioni professionali eseguite dal collaboratore sino alla dichiarazione dello stato di emergenza non può giustificare l’inadempimento e quindi la responsabilità del debitore ex art. 1218 c.c.: norma che giustifica l’inadempimento se il debitore prova che il fatto non è dipeso da sua colpa o è dovuto a fatto fortuito. La norma pone a carico del debitore, per il solo fatto dell’inadempimento, una presunzione di colpa iuris tantum, superabile mediante la prova dello specifico inadempimento che abbia reso impossibile la prestazione o almeno la dimostrazione che, qualunque sia stata la causa dell’impossibilità, la medesima non possa essere imputabile al debitore.
Tale norma – secondo l’interprete giuridico – deve essere letta alla luce delle clausole generali previste nel codice civile agli artt. 1175 e 1375 c.c. che nel disciplinare il principio di buona fede nell’adempimento della prestazione e nell’esecuzione del contratto, contengono ontologicamente il principio costituzionale della solidarietà sociale ex art. 2 Cost..
Né appaiono applicabili in via automatica gli artt. 1256 e 1467 del codice civile: la prima norma prevede l’impossibilità dell’obbligo di pagamento per “factum principis”; la seconda la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta.
La chiusura della struttura sanitaria non legittima, perciò, d’emblé il mancato pagamento delle prestazioni già eseguite dal giovane Odontoiatra o dal collaboratore in base all’art. 1256 c.c. in quanto la normativa nazionale emanata per fronteggiare l’emergenza nulla dispone a tale riguardo.
Del pari, il mancato pagamento delle prestazioni già eseguite non è neppure giustificato a norma dell’art. 1467 c.c., in quanto l’eventuale risoluzione contrattuale dovrebbe essere stata sancita da sentenza del Tribunale e peraltro non avrebbe effetto sul pregresso ma semmai sarebbe valida solo per il futuro, trattandosi di un contratto a prestazioni corrispettive.
Radicato orientamento giurisprudenziale, inoltre, è quello secondo il quale, in applicazione del principio genus numquam perit, l’obbligazione avente ad oggetto una somma di denaro non è suscettibile di estinguersi per impossibilità sopravvenuta, così come non opera con efficacia estintiva la mera difficoltà di adempiere per mancanza di liquidità [cfr. Cass. civ., 15 novembre 2013, n. 25777 ].
Non appare, così, né solidale né etico appellarsi ad esigenze di chiusura delle strutture sanitarie per non pagare le prestazioni già eseguite dai giovani Odontoiatri e dai collaboratori.
In questo caso, per chiosare il gergo medico in voga in questo momento, l’ordinamento giuridico fornisce al rapporto negoziale di collaborazione professionale gli ‘anticorpi’ capaci di impedire che, al disastro dapprima sanitario e sociale, si abbini quello (macro- e micro-) economico.
Va da se che come nel campo medico e immunologico anche nel caso giuridico, è opportuno valutare i singoli contratti di collaborazione e le singole clausole ivi contenute, a vantaggio di soluzioni più pragmaticamente orientate alla tutela degli interessi effettivamente in gioco tra le parti.
Ne consegue che un giudice chiamato a decidere in merito ad un inadempimento al tempo del Covid 19 dovrà valutare se l’inadempimento è giustificato in relazione alla necessità di rispettare le misure di contenimento e, a tale proposito, il Decreto Cura Italia all’art.91 ha integrato l’art. 3 del DL n. 6 del 23 febbraio 2020 prevedendo il comma 6 bis che recita espressamente quanto segue: “Il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutato ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli artt. 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi versamenti”.