Uno degli effetti della crisi di Governo, che ha portato alle dimissioni del Presidente del Consiglio Draghi e allo scioglimento delle Camere, è lo stop all’approvazione della legge sull’equo compenso dei professionisti che, nelle scorse settimane aveva avuto il via libera dalla Commissione Giustizia del Senato. Al completamento dell’iter, infatti, mancava ancora l’approvazione dell’aula del Senato, programmata per lo scorso 20 luglio e poi saltata a causa del precipitare della crisi.
Per vedere una legge sull’equo compenso dei professionisti, quindi, occorrerà attendere le elezioni e l’avvio della nuova legislatura, considerando che a questo punto sarà necessario avviare l’iter da capo. Il che non costituisce necessariamente una cattiva notizia per i professionisti e, in particolare, per i dentisti, tenendo conto dei limiti della proposta di legge decaduta, sui quali si torna brevemente.
Come avevo già rilevato, infatti, per i dentisti l’equo compenso sarebbe rimasto inesigibile anche in caso di approvazione della legge, visto che il campo di applicazione dell’equo compenso sarebbe rimasto circoscritto ai soli rapporti intrattenuti con imprese di medie e grandi dimensioni, tagliando fuori tutte le prestazioni rivolte alle persone fisiche, quali quelle comunemente rese dai dentisti. Ma non solo: la stessa legge avrebbe reso tecnicamente improbabile conseguire l’equo compenso anche riguardo alle prestazioni rese nei confronti delle grandi imprese, per effetto di un meccanismo sanzionatorio atto a colpire più il professionista sottopagato, attraverso sanzioni disciplinari automatiche, che il committente inadempiente.
La consapevolezza di tali criticità – rilevate nei mesi scorsi, peraltro, dalle principali organizzazioni di rappresentanza dei professionisti e dalla stessa ANDI – dovrebbe costituire il punto di partenza per la costruzione di una proposta di legge utile ad assicurare a ogni professionista il conseguimento di compensi proporzionati alla quantità e alla qualità delle prestazioni rese alla clientela, senza dimenticare che tale processo troverebbe la propria ragione d’essere nel patto fiduciario tra cliente e libero professionista, che vede il proprio naturale complemento nell’applicazione delle norme deontologiche e nella vigilanza degli ordini a tutela dell’utenza.
È doveroso confidare, quindi, anche considerando il positivo dibattito scaturito nell’ambito della discussione parlamentare della proposta decaduta, in una politica interessata a definire legislativamente il concetto di “equo compenso”, rendendolo effettivamente esigibile per tutti i liberi professionisti italiani.
Andrea Dili
Dottore commercialista