Il rebus della riforma fiscale

Forse potrebbe essere la volta buona.

Molti esponenti del Governo, infatti, hanno manifestato l’intenzione di procedere già nella prossima legge di bilancio alla revisione della disciplina fiscale dei redditi delle persone fisiche, con l’intenzione – vedremo in autunno se alle parole seguiranno i fatti – di determinare un taglio delle imposte sulla classe media.

A ben vedere oggi, rispetto al momento della sua istituzione, l’IRPEF presenta molti punti critici, spesso contraddittori.

Innanzi tutto, per effetto della sottrazione di alcune tipologie o forme reddituali sottoposte a imposte sostitutive (cedolare secca, forfettario, premi di produttività, ecc.), il gettito IRPEF deriva per la quasi totalità da redditi da lavoro (autonomo e dipendente) e pensione, da cui origina circa l’89% dell’imposta.

In secondo luogo l’effetto combinato di scaglioni con aliquote crescenti, detrazioni e addizionali locali fa si che già con livelli di reddito bassi o medio bassi le aliquote marginali effettive siano decisamente elevate, determinando un prelievo sul reddito aggiuntivo che per un professionista   oltrepassa il 40% già al superamento dei 28mila euro di reddito lordo. Ovvero, 100 euro di maggior reddito realizzato scontano, tra imposte e contributi, un ulteriore versamento di circa 53 euro[1].

In terzo luogo il notevole incremento dell’incidenza delle addizionali IRPEF regionali e comunali, il cui gettito è cresciuto negli ultimi dieci anni rispettivamente del 60% e del 182%, con buona pace di chi vedeva nel federalismo fiscale la soluzione per la riduzione delle tasse[2].

Infine la discriminazione tra lavoratori dipendenti, che godono del cosiddetto “bonus Renzi” – rinforzato dalla legge di bilancio 2020 – e di detrazioni da lavoro quasi doppie rispetto ai professionisti (8.174 contro 4.800 euro), e lavoratori autonomi. Discriminazione soltanto in parte “compensata” dal varo di regimi sostitutivi quali il forfettario (regimi che, peraltro, determinano varie distorsioni, finendo per disincentivare la nascita di strutture aggregate e spesso falsando – al ribasso – la libera concorrenza).

Le politiche adottate negli ultimi anni hanno ulteriormente amplificato tali contraddizioni, rendendo l’IRPEF una imposta che grava principalmente sulla classe media di lavoratori (autonomi e dipendenti) e pensionati. Tant’è che i soggetti IRPEF con redditi lordi compresi tra 28mila e 75mila euro, pur rappresentando circa il 19% dei contribuenti, versano circa il 42% dell’imposta.

Potremmo, quindi, sommariamente concludere che un intervento volto a sanare anche soltanto parte di tali contraddizioni, riducendo la pressione fiscale sulla classe media, e in particolare sulle persone fisiche in partita iva, sarebbe senza alcun dubbio auspicabile.

Per tali ragioni meritano molta attenzione le proposte che politica e addetti ai lavori stanno rendendo pubbliche in queste settimane: in estrema sintesi si spazia dalla semplice idea di ridurre l’aliquota del terzo scaglione IRPEF, “addolcendo” il salto dal 27% al 38%, intervento che interesserebbe circa 9 milioni di contribuenti, a proposte ben più radicali, che dovrebbero portare a ridisegnare completamente il modello (la più gettonata, al momento, è ispirata al sistema tedesco, che prevede una tassazione a progressività continua). In tale contesto, inoltre, occorrerà valutare anche le numerose proposte di revisione del complesso sistema delle detrazioni, a cominciare da quelle relative ai carichi familiari (la riduzione delle aliquote accompagnata al taglio delle detrazioni, infatti, potrebbe determinare un incremento delle imposte). Va segnalata, infine, l’idea, rivolta esclusivamente alle persone fisiche in partita iva, lanciata dal Direttore dell’Agenzia delle Entrate Ernesto Ruffini, che prevede di identificare il reddito di professionisti e piccoli imprenditori con il cash flow generato dall’attività svolta (comprensivo delle spese per investimenti), superando contestualmente il meccanismo di pagamento per saldo e acconti a favore di versamenti mensili dell’IRPEF; meccanismo che, tuttavia, per i professionisti che effettuano prestazioni di servizi nei confronti di consumatori finali (quali i dentisti) finirebbe per determinare l’anticipazione delle imposte.

Memori, quindi, di quanto avvenuto in passato – quando spesso le revisioni dei modelli di imposizione fiscale nascevano con la migliore intenzione di ridurre le tasse per poi determinare effetti reali diametralmente opposti – sarà necessario vagliare con attenzione le proposte che saranno fatte proprie da Governo e Parlamento, evitando di farsi abbagliare dagli slogan.

Ne va della sopravvivenza di un tessuto già pesantemente fiaccato dall’emergenza COVID-19.

Andrea Dili


[1] Importo variabile a seconda della contribuzione determinata dalle varie casse di previdenza o, nel caso di professionisti non iscritti agli ordini professionali, dall’INPS.

[2] http://confprofessioni.eu/news/articolo/addizionali-tassa-“occulta”-da-17-miliardi