L’analisi di Alessandro Pala: compromesso tra protezione e conseguenti effetti avversi delle maschere facciali

Introduzione

L’obiettivo di questa nota è analizzare il rapporto tra benefici ed effetti avversi derivanti dall’impiego delle maschere facciali da parte degli operatori sanitari. A questo fine sono riportati alcuni suggerimenti istituzionali sull’indispensabilità dell’impiego di questi sistemi di protezione, descritte alcune caratteristiche tecniche dei materiali impiegati per la loro manifattura e riportata la rilevanza economica legata alla loro produzione ed uso. La crescente diffusione delle preoccupazioni legate agli effetti avversi generati da maschere e respiratori, ha suggerito la stesura di una breve revisione della loro entità che investe non solo aspetti dermatologici e cardiorespiratori, ma anche psicologici e comportamentali.  In particolare, l’ostacolo offerto dai respiratori FFP alla facilità di respirazione sembra, allo stato delle conoscenze, l’effetto avverso più diffuso e con il rischio maggiore per la salute degli operatori e quindi per quella dei pazienti e per la qualità della cura.  Ciò rende imperativo trovare un equilibrio tra l’indispensabile uso dei mezzi di protezione e alcune semplici soluzioni da adottare per la gestione degli effetti avversi.

Indispensabilità dell’impiego delle maschere facciali

Il beta Coronavirus della Sindrome Respiratoria Acuta Severa (SARS-CoV-2) è il terzo nuovo beta Coronavirus, patogeno per l’uomo, degli ultimi 19 anni. Dopo l’insorgenza della Sindrome Respiratoria Acuta Severa del 2002 in Cina e della Sindrome Respiratoria Acuta (MERS) del 2010 in Arabia Saudita, la nuova pandemia, partita il 12 dicembre 2019, minaccia tuttora la popolazione umana di tutto il mondo (1).  Alla data del 23 febbraio 2021, il numero di casi accertati di Covid-19 era globalmente di 110.7 milioni di persone e quello delle morti di 2.4 milioni (2). Secondo l’Agenzia dell’Unione Europea “Center for Disease Prevention and Control “(CDC) i numeri, aggiornati al 04.03.2021, indicano un totale di 22.527.370 infezioni per l’Unione (Italia 2.925.000) e di 547.276 morti (Italia 97699) (3).   Questi numeri rappresentano molto probabilmente una sottostima degli effetti della pandemia perché difficilmente possono includere soggetti asintomatici e tener conto della scarsità del numero dei test diagnostici eseguiti e della successiva trasmissione dei risultati.  Questa esplosiva incidenza della malattia, in un periodo di soli quindici mesi, ha determinato un proporzionale aumento della richiesta di maschere chirurgiche e di respiratori FFP2 (filtering facepiece 2-in EU-, N95 in USA o KN 95 in Asia) * che, come noto, sono impiegati per prevenire la diffusione delle infezioni respiratorie. Gli altri elementi che concorrono alla crescente domanda di maschere facciali sono associati alla loro limitata efficacia nel tempo che le rende monouso. 

Dopo l’impiego, infatti, lo strato esterno della maschera è considerato potenzialmente contaminato da microrganismi patogeni, mentre gli strati interni sono progressivamente bagnati dall’umidità che ne altera le proprietà filtranti.

Le maschere facciali sono pertanto efficaci per un numero di ore relativamente modesto e la loro manipolazione e riutilizzazione costituiscono un rischio di contaminazione. Anche il crescente numero di raccomandazioni sull’uso delle maschere facciali fornite dalla letteratura scientifica (4) e dalle Istituzioni sanitarie ha certamente contribuito all’impennata della richiesta. Per esempio, mentre inizialmente WHO aveva raccomandato d’indossare le maschere solo per la cura dei pazienti sospetti d’infezione da SARS-CoV-2, ha poi progressivamente emanato una serie di documenti che consigliano l’uso di questi mezzi di protezione anche alle persone sane che si muovono in situazioni comunitarie (5) .

Alcune Istituzioni hanno elaborato veri e propri decaloghi sui modi di impiego delle maschere facciali.  Un recentissimo esempio di queste importanti istruzioni è la guida, elaborata dall’Agenzia governativa USA “Center for Disease Control” (CDC) che, nei primi due degli undici punti raccomanda l’uso generalizzato delle maschere facciali e di non considerale un’alternativa al distanziamento sociale (6) . Simili raccomandazioni sono contenute anche nel recente DPCM del 14.01. 2021 (7).

La manifattura, non esattamente banale, di questi beni di consumo si è progressivamente allineata alle raccomandazioni sul loro impiego molto generalizzato ed è possibile che il mercato globale sia lanciato verso una crescita di trenta volte, dai 730 milioni di dollari nel 2019 ai 22.143 milioni nel 2021 (8).

La struttura e la manifattura delle maschere facciali

Le proprietà filtranti delle maschere sono funzione della struttura a più strati costituita da tessuto non-tessuto (TNT). Si tratta di prodotti industriali, simili a un tessuto, ma ottenuti con procedimenti diversi dalla tessitura. Nel TNT, costituito generalmente da polimeri di sintesi, le fibre sono unite con adesivi o con processi termici e formano strutture a strati, o incrociate ma prive della struttura ordinata del tessuto nel quale le fibre presentano due direzioni prevalenti e ortogonali tra loro (trama e ordito).  Le maschere facciali sono generalmente costituite da polimeri termoplastci come il polipropilene (PP), i poliuretani, il poliacrilonitrile, il polistirene, il policarbonato,il polietilene e i poliestere. Solitamente le maschere chirurgiche sono composte di tre strati di TNT polimerico: il più interno è costituito da materiale assorbente capace di bloccare le gocce muco salivari di chi lo indossa; questo strato è anche in grado di assorbire l’umidità dell’aria esalata, al fine di migliorare il confort.  Lo strato intermedio è il filtro principale che impedisce al patogeno di penetrare in ambedue le direzioni, mentre lo strato più esterno possiede proprietà idrofobiche (9). Insieme, questi tre strati proteggono efficacemente sia chi indossa le maschere, sia le persone intorno riducendo la penetrazione di particelle e patogeni nelle due direzioni (Figura 1).  

Figura 1: Diagramma che spiega la funzione di ciascuno strato di una maschera chirurgica.  Riprodotto da: Chua MH et al. (cfr ref. 9)

Per quanto costituiti dello stesso materiale, i tre strati sono frequentemente prodotti con tecniche differenti che conferiscono loro morfologia e proprietà differenti **. Le differenze dei processi produttivi dei respiratori non sono molto rilevanti e riguardano due caratteristiche: uno degli strati deve essere opportunamente modellato ad alta temperatura per acquisire la forma desiderata e una maggior rigidità. Inoltre, l’efficienza filtrante del respiratore è aumentata unendo al processo produttivo “melt-blown” (cfr. nota) delle fibre il conferimento di carica elettrica in modo da poter attrarre le particelle senza impedire all’aria di passare liberamente (trattamento “electret”). Questi trattamenti assicurano una buona tenuta al viso, ma l’utente deve verificare che modello e dimensioni del respiratore siano idonei (fit test). Le mascherine chirurgiche, invece, non sono progettate per aderire perfettamente al viso.

Trasmissione di SARS-CoV-2 e maschere facciali 

Questa nota non entra nel merito della differenza di protezione offerta dalle maschere facciali e dai respiratori e per questo rimanda ai recenti aggiornamenti dell’European Centre for Disease Prevention and Control (ECDC) sul tema (11, 12).

Potenziali affetti avversi derivanti dall’uso di maschere facciali.

Esistono ormai numerose evidenze scientifiche sull’efficienza e la sicurezza delle maschere facciali, sebbene siano stati identificati alcuni possibili effetti collaterali, generati dalle stesse, che includono, oltre al disagio generale, irritazioni cutanee e cefalea. In particolare, alcuni soggetti con patologie preesistenti come la bronco pneumopatia cronica ostruttiva o l’insufficienza renale, possono presentare maggiori difficoltà respiratorie se indossano la maschera facciale per prolungati periodi.

Figura 2. a) Schema di una mascherina chirurgica formata da 3 stratidi TNT, due dei quali sono prodotti con la tecnologia spunbond (cfr nota) ed uno, l’interno con la tecnologia meltblown. b) Immagine del microscopio elettronico a scansione dello strato intermedio filtrante, c) Immagine del microscopio elettronico a scansione dei tre strati con diversa funzione. Riprodotta da: Armentano I et al, cfr ref. 10).   

Potenziali affetti avversi dermatologici.

Per quanto riguarda l’aspetto dermatologico, è ragionevole supporre che, oltre alla pressione applicata sulla cute, frizione e umidità possano contribuire al danneggiamento cutaneo. La frizione avviene durante i movimenti che il lavoro comporta, inclusi quelli della testa e della faccia e perfino quelli associati al parlare e al respirare. L’umidità si accumula nel respiratore, oltre che per condensazione del vapore contenuto nell’aria esalata dai polmoni e dalle vie aeree nella normale respirazione, anche per il sudore. Le persone che indossano il respiratore per ore, come gli operatori sanitari in periodo pandemico, sono perciò a maggior rischio di irritazioni cutanee per il prolungato contatto della pelle col sistema di protezione. Gli effetti avversi dei respiratori includono, oltre all’irritazione cutanea, acne, disagio cutaneo, pressione sul naso e dermatiti irritative (13-15).

Un recente studio cinese, basato sui risultati di un questionario distribuito a 542 operatori sanitari nei primi due mesi del 2020, ha riportato non meglio precisate lesioni cutanee (skin damage) sulle guance dei portatori di respiratori N95. Per impieghi dei respiratori inferiori alle sei ore, questo effetto secondario è stato segnalato dal 68.9 % dei partecipanti e dall’81 % per un uso superiore alle sei ore. Gli AA commentano questi dati esprimendo la preoccupazione che i problemi dermatologici, insorti in seguito all’aumento dell’applicazione delle misure di prevenzione, possano ridurre entusiasmo ed efficienza degli operatori sanitari rispetto al sovraccarico di lavoro e generare ansia (13).   Simili risultati, ottenuti dall’analisi di un questionario, ma con maggiori dettagli sulla localizzazione delle lesioni cutanee riportate da professionisti sanitari, sono stati pubblicati da Rosner. Dopo il turno di lavoro, il 53.1 % dei 343 pazienti riferiva la presenza di acne e il 51 % di lesioni cutanee, più frequenti sul dorso del naso (42.9%), dietro le orecchie (32.1 %), sulle guance (28.6 %) e sul mento (14.3%) (14).   

Questi lavori menzionano “dermatiti di contatto” del viso che, tipicamente si riferiscono sia alla dermatite allergica da contatto (ACD), sia alla dermatite irritativa da contatto (ICD), generalizzando la diagnosi come “lesione cutanea “(skin damage ). In mancanza di descrizione delle reazioni cutanee, dei sintomi e dell’elenco dei prodotti chimici impiegati nella manifattura delle maschere facciali, diventa difficile identificare i rispettivi potenziali allergeni al fine di evitarli. Un interessante tentativo per riconoscere gli allergeni presenti nelle maschere facciali è quello di Liu et al. che hanno cercato di identificare le cause delle dermatosi occupazionali derivanti dall’uso di maschere facciali e di separare ACD e ICD (16).  La frequenza dell’ADC è di molto inferiore a quella dell’ICD e la descrizione e identificazione degli allergeni sono basate su un numero limitato di casi clinici singoli.

Gli elastici delle maschere facciali possono contenere acceleratori della vulcanizzazione, “Tiuram“, ai quali, in un caso, il portatore della maschera è risultato reattivo nel “patch test” (17). La gomma può contenere anche altri allergeni come, per esempio, antiossidanti del tipo del N-isopropil-N’-fenil-parafefenilendiammina.  Pur non trovandosi a diretto contatto con la cute, le strisce metalliche usate per garantire la tenuta delle maschere sul naso, possono rilasciare piccole quantità di ioni metallici di Cobalto o di Nichel, notoriamente allergenici. Anche un adesivo usato per incollare gli strati delle maschere (dibromo-dicianobutano) è stato identificato come allergenico col “patch test” nel caso di un soggetto che aveva indossato un respiratore N95 (18).  La formaldeide, aggiunta deliberatamente come disinfettante o liberata per degradazione dei polimeri impiegati per la manifattura dei TNT utilizzati per la fabbricazione delle maschere o dai materiali di imballaggio, può provocare reazioni allergiche (19).

 Potenziali effetti avversi cardiovascolari.

Non tutti i risultati concernenti gli effetti provocati dall’uso di maschere facciali sulle funzioni cardiopolmonari dopo esercizio fisico, sono concordanti. Secondo l’European CDC (11) non sembra che indossare una maschera, sia pure per un impegnativo esercizio fisico, possa portare a importanti effetti fisiologici. Al contrario, secondo il National Institute for Occupational Safety and Health (NIOSH) la resistenza respiratoria determinata dai respiratori N95 determinerebbe ipoventilazione con rilevanti conseguenze negative dopo 1 ora di impiego (20). Gli indici di funzionalità respiratoria (capacità vitale forzata, volume espiratorio forzato in un secondo, picco di flusso espiratorio) dopo esercizio fisico, diminuiscono significativamente nei portatori di maschere chirurgiche e soprattutto di respiratori FFP2. Gli effetti negativi delle maschere facciali sull’esercizio fisico sono stati messi in evidenza anche dalla riduzione della Ventilazione e dalla ridotta durata dell’esercizio compiuto, perché interrotto a causa della percezione dello sforzo (21). Del tutto recentemente il Bristish Journal of Surgery ha pubblicato una lettera all’editore che riporta i risultati di un esperimento sugli effetti di ipossia (poco ossigeno) e di ipercapnia (molta anidride carbonica) sofferti da chirurghi che indossano il respiratore FFP3, oltre all’abbigliamento standard, al visore, al camice e a due paia di guanti al lattice, in un intervento laparoscopico di 2 ore. Condizioni basali, di abbigliamento standard e di massima protezione con FFP3, sono le tre situazioni che gli stessi otto chirurghi affrontano in tre diverse occasioni. I risultati indicano che l’indossare la massima protezione influenza negativamente lo scambio gassoso determinando Ipossia associata a Ipercapnia. In particolare, la frazione inspirata di anidride carbonica aumenta molto rapidamente di 260 volte insieme a significative diminuzioni della corrispondente frazione di ossigeno e della saturazione periferica di ossigeno. Secondo l’A. la variazione di questi parametri porta agli aumenti della vasodilatazione, misurata nell’esperimento, e della pulsatilità cerebrale che, a loro volta, inducono sintomi di dispnea, fatica, sudorazione, capogiri, nausea, disturbi cognitivi e mal di testa. Questi effetti avversi possono avere un ovvio impatto negativo sulla salute degli operatori sanitari e su quella dei pazienti (22).   

Potenziali effetti avversi psicologici e relazionali

Oltre alle preoccupazioni più strettamente fisiologiche, ne sono state espresse altre concernenti tre aspetti psicologici e/o comportamentali. Il primo riguarda il falso “senso di sicurezza” generato dalla protezione che induce chi indossa la maschera facciale ad essere meno vigile rispetto a misure preventive, quali il distanziamento o l’igiene delle mani. Il secondo aspetto relazionale riguarda la diminuita qualità della comunicazione tra persone che sono per questo portate inconsciamente ad avvicinarsi. Il terzo aspetto riguarda l’esalazione di aria che tende a indirizzarsi verso gli occhi e a generare l’impulso a toccarli. Se le mani sono contaminate possono trasferire agli occhi il patogeno infettante (23).            

Conclusioni  

L’invito agli operatori sanitari di indossare il respiratore, piuttosto che la mascherina, è stato espresso da Istituzioni sanitarie e di sicurezza sul lavoro. Sebbene le evidenze offerte dalla letteratura sull’uso preferenziale dei respiratori, rispetto alle mascherine chirurgiche, non siano definitive, diversi elementi razionali concorrono in questa direzione, specialmente le valutazioni della capacità filtrante, della tenuta rispetto al viso e, più in generale, del loro corretto impiego.  Non manca, tuttavia, un numero di perplessità sugli effetti collaterali che riguardano le complicazioni dermatologiche e respiratorie determinate dall’uso prolungato di questi sistemi protettivi. Alle complicazioni, riportate dagli operatori in modo per lo più aneddotico, si sono aggiunte, del tutto recentemente, evidenze di effetti avversi a carico del sistema cardiopolmonare in grado di spiegare sintomi quali la dispnea, la fatica, le alterazioni cognitive e la cefalea. Per questa ragione si è parlato di adeguate contromisure, tutte da escogitare, per prevenire rischi al personale sanitario e ai loro pazienti. Per il momento occorre cercare l’equilibrio tra la protezione offerta dai respiratori e gli inconvenienti che questi possono provocare mediante l’adozione di brevi interruzioni programmate per ridurre la quantità di CO2 inspirata; questo può essere facilmente realizzato togliendo il respiratore e inalando aria fresca. Altra misura preventiva, ampiamente suggerita, consiste nella reidratazione per compensare la sudorazione dovuta al calore generato dai mezzi di protezione: la quantità di liquido reidratante può essere razionalizzata in base alla perdita di peso in un determinato tempo.  Secondo criteri analoghi è stata consigliata anche particolare attenzione alla qualità dell’alimentazione solida, sia per l’apporto di energia necessario all’operatività, sia per il possibile contributo alla reidratazione. 


Note:

*”Maschera facciale” è il termine più generale per descrivere qualsiasi dispositivo ( maschera medica o respiratore)  indossato sulla bocca e il naso per prevenire l’inalazione di sostanze pericolose, come goccioline respiratorie infette, o l’emissione di goccioline respiratorie infette generate respirando, parlando, tossendo o starnutendo nell’ambiente .

“Maschera facciale medica” (mascherina chirurgica) è un dispositivo medico usato dagli operatori sanitari per impedire che gocce respiratorie o schizzi raggiungano naso e bocca di che lo indossa, e per controllare la diffusione di gocce respiratorie da parte di chi lo indossa. Non sono considerate dispositivi di protezione personali dagli ordinamenti Eu, ma non c’è dubbio che offrano protezione dalle infezioni trasmesse dalle gocce.

“Respiratore“ (mask filtering facepiece FPP) è un dispositivo ideato per proteggere il portatore dall’esposizione ai contaminanti “airborne” (cioè dall’inalazione di polveri o particelle infettanti).  I Respiratori sono classificati come dispositivi di protezione individuale e sono usati dagli operatori sanitari, per proteggersi, specialmente nelle operazioni che generano polveri o aerosol e richiedono una prova di adattamento alla faccia (fitting test) per assicurare una protezione corretta.  

**Questi TNT polimerici sono sviluppati con varie tecnologie, tra le quali le più note sono “spunbond “e “meltblown”. La seconda tecnologia genera fibre di diametro più piccolo con dimensioni inferiori a 1 µ, con superficie liscia e a sezione circolare e con elevata efficienza di filtrazione che è, infatti, ben correlata alle dimensioni delle fibre. Per questa ragione il processo meltblown è impiegato per la produzione del TNT che costituisce lo strato intermedio filtrante delle maschere facciali. La tecnologia “spunbond “produce invece filamenti più grossolani, dotati di maggior forza tensile (per “forza tensile” si intende la resistenza alla trazione del tessuto per unità di superficie) (10), ma con inferiore capacità filtrante. Per questa ragione i TNT prodotti con questa tecnologia sono più adatti per costituire gli strati esterni e interni della maschera, come appare dalla Figura 2.


Alessandro Pala, Chimico
Consulente scientifico di ANDI  


Bibliografia

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