La revisione dell’IRPEF contenuta nella legge di bilancio 2022, appena approvata dal Parlamento, delinea più un intervento di manutenzione che l’auspicata riforma strutturale del modello di imposizione sui redditi prodotti dalle persone fisiche.
In altre parole, quindi, il Governo, in attesa che venga data attuazione ai principi contenuti nel disegno di legge delega sulla riforma del sistema fiscale, sembra essersi orientato – anche a causa delle limitate risorse finanziarie disponibili – su un’operazione che dovrebbe costituire la prima tappa di un percorso ben più articolato.
È comunque opportuno, considerato che le nuove regole IRPEF saranno operative a partire dal 2022, focalizzare l’attenzione sulle principali novità contenute nella legge di bilancio, evidenziando fin da ora una buona notizia: il carico fiscale diminuirà per la maggior parte dei contribuenti italiani, in particolare per i lavoratori dipendenti con redditi intorno a 40mila euro e per gli autonomi e i pensionati con redditi vicini a 50mila euro. Vediamo in che modo.
In buona sostanza la revisione proposta dal Governo, e approvata dal Parlamento, poggia le proprie basi su tre diverse modifiche all’attuale regime IRPEF, ossia:
- la riduzione a quattro scaglioni di reddito dagli attuali cinque;
- la diminuzione delle aliquote del secondo e del terzo scaglione;
- la revisione delle detrazioni (e del bonus per i lavoratori dipendenti).
Per quanto riguarda scaglioni e aliquote il passaggio dal vecchio al nuovo modello viene schematizzato nella seguente tabella.
Per quanto riguarda le detrazioni per lavoro dipendente, pensione e lavoro autonomo ne viene disposto un generale rafforzamento, operazione che per i lavoratori dipendenti comporta l’assorbimento del relativo “bonus”, che essenzialmente rimane soltanto per i redditi fino a 15mila euro. La revisione degli scaglioni, inoltre, determina effetti anche sulla portata delle detrazioni: se, infatti, nell’IRPEF 2021 esse operavano fino a 55mila euro di reddito nel nuovo modello agiscono fino a redditi di 50 mila euro.
L’insieme di tali interventi determina gli effetti esposti nelle seguenti tabelle, la prima delle quali mostra i risparmi di imposta, in valori assoluti, generati dal nuovo impianto normativo. La seconda tabella, invece, evidenzia l’aliquota media effettiva d’imposta per livelli di reddito.
Le suddette tabelle (2 e 3) permettono di apprezzare i benefici per i contribuenti interessati: per quanto riguarda i lavoratori dipendenti i maggiori vantaggi si registrano a 40mila euro di reddito, con un risparmio d’imposta di 945 euro; per i pensionati e per i lavoratori autonomi a 50mila euro di reddito con una minore imposta rispettivamente di 758 e 810 euro.
La lettura dei numeri, inoltre, consente di sviluppare alcune considerazioni. In primo luogo è di tutta evidenza come i maggiori beneficiari del taglio dell’IRPEF siano i contribuenti della cosiddetta classe media, anche se complessivamente i vantaggi, spalmandosi su una platea molto ampia, sono decisamente contenuti (inferiori anche ai 960 euro del bonus varato nel 2014). In secondo luogo la crescita della curva di progressività appare più armonica, in particolare per i lavoratori dipendenti per i quali l’aliquota marginale massima subisce una significativa riduzione.
Le buone notizie, tuttavia, si fermano qui. Non viene risolto, infatti, il problema dell’equità orizzontale, con una forbice che tra lavoratori dipendenti e autonomi rimane assai rilevante. A 20mila euro di reddito, ad esempio, un lavoratore dipendente verserebbe una imposta di 2.058 euro a fronte dei 3.928 euro di un lavoratore autonomo, per effetto di una aliquota media effettiva quasi doppia (19,64% contro 10,29%). Una differenza che appare ancora più ingiustificabile considerando che il disegno di legge delega sulla riforma del sistema fiscale fissa l’obiettivo del modello duale, che dovrebbe presupporre il medesimo trattamento per tutti i rediti di lavoro. Infine, occorre amaramente constatare come non sia stata prevista alcuna misura a favore dei giovani, a conferma che nel nostro Paese rimane più facile corrispondere alle esigenze di chi esce rispetto a quelle di chi si accinge a entrare nel mercato del lavoro.
Complessivamente, quindi, si tratta di un intervento modesto nella portata e negli obiettivi raggiunti nell’immediato; una revisione che assumerebbe effettiva rilevanza soltanto se si configurasse quale primo passo di una riforma ben più ambiziosa che, oltre a ricondurre a equità orizzontale e verticale il modello di imposizione sui redditi delle persone fisiche, dovrebbe anche condurre a una generale semplificazione del sistema.
Andrea Dili
Dottore commercialista