Uno studio recentemente pubblicato prova una volta ancora la sicurezza delle procedure odontoiatriche rispetto al rischio di contagio da SARS-CoV-2. Grazie alle ricerche di un team dell’Università dell’Ohio, mirante a determinare la componente genetica dei microrganismi trovati in sospensione nei droplets, arriva una importante scoperta: nell’aerosol generato da procedure odontoiatriche l’incidenza della saliva dei pazienti non sarebbe la componente più rilevante in relazione alla carica batterica presente.
Lo studio in questione, i cui risultati sono stati pubblicati il 12 Maggio scorso all’interno del Journal of Dental Research, arriva dopo una lunga serie di ricerche che hanno progressivamente scongiurato il mito di un alto rischio di infezione da SARS-CoV-2 per gli studi odontoiatrici. Fin dai primi mesi del 2020 è apparso chiaro come il virus si trasmetta tramite droplets respiratori; evidentemente, alcune procedure odontoiatriche producono alti volumi di aerosol: queste due componenti hanno portato alla conclusione che molte operazioni di routine per il dentista, come la pulizia e il restauro, potessero rendere lo studio un ambiente ad alto rischio.
Questa ricerca ci permette finalmente di aggiustare il tiro, “aiutandoci a riaprire i nostri studi, convincendo noi, il nostro team e soprattutto i nostri pazienti della sicurezza degli interventi di odontoiatria e, finalmente, mettendo tutti in grado di tornare ad occuparsi della salute orale della popolazione,” ha commentato l’autrice, la Prof.ssa Purima Kumar (D.D.S., Ph. D.), membro della Commissione Scientifica ADA e titolare della cattedra di parodontologia all’Ohio State University. “Mantenere la propria salute dentale non aumenta il rischio di contagio più di quanto non faccia bere un bicchiere d’acqua nello stesso studio in cui si svolgono le procedure.”
I ricercatori hanno lavorato con l’obiettivo di tracciare i microrganismi presenti e generati durante le procedure odontoiatriche, per misurare con esattezza il contributo della saliva del paziente a questo valore, raccogliendo campioni dai membri del team odontoiatrico, dai pazienti, dalla strumentazione e da altre superfici interessate dalla ricaduta dell’aerosol. I loro risultati hanno provato come, a dispetto della procedura impegnata o della superficie di impatto dei droplets, il flusso di aerosol prodotto dalla strumentazione riguardi di norma il 78% della carica microbica rilevata, laddove la saliva, quando presente, contribuisce con valori siti tra lo 0,1% e l’1,2% del totale. Lo studio è stato condotto, tra il 4 Maggio e il 10 Luglio 2020, selezionando 28 pazienti dell’Ohio State College of Dentistry che necessitavano di implantologia, restauro tramite trapani ad alta velocità o interventi con ablatori ad ultrasuoni. I ricercatori hanno raccolto campioni di saliva oltre che di soluzioni irriganti prima di ciascuna operazione e 30 minuti dopo il termine di queste, analizzando il condensato di aerosol sulle visiere dei professionisti, le dighe e le protezioni dei pazienti, oltre che tutte le aree entro 2 metri dalla poltrona. L’analisi successiva ha dimostrato come solo in 8 casi la saliva dei pazienti facesse parte del condensato; cinque di questi, inoltre, non avevano utilizzato uno sciacquo adeguato prima della procedura. In tutti gli altri casi il virus era impossibile da identificare dal condensato, mentre era stata provata la sua presenza nei campioni di saliva di 19 dei 28 pazienti esaminati.
Nell’opinione dell’autrice, questi risultati hanno perfettamente senso: l’irrigante diluisce la saliva, di per sé una sostanza densa e viscosa, in una misura variabile sita tra le 20 e 200 volte. “I dentisti e tutto il team odontoiatrico sono da sempre i primi ad occuparsi della prevenzione, e della protezione, dai patogeni presenti nel cavo orale. Comprensibilmente, l’incertezza di fronte ad un virus come il SARS-CoV-2 non li rendeva tranquilli: come affrontare un nemico in prima linea circondati dall’aerosol. Spero vivamente che questi risultati rassicurino gli operatori e tranquillizzino i pazienti: nelle procedure odontoiatriche, è la soluzione impiegata dagli strumenti, non la saliva, la componente di assoluta maggioranza dei droplets. Questa scoperta collabora alla spiegazione di come mai l’incidenza del contagio all’interno degli studi odontoiatrici sia rimasta così bassa. Ricordiamo tuttavia che il virus si diffonde attraverso l’aerosol: tossire, starnutire e persino parlare a distanza ravvicinata senza protezione costituisce comunque un rischio rilevante nella contaminazione dell’ambiente.”
“Questo studio aggiunge un nuovo, importante tassello a quanto stiamo già osservando da mesi: gli studi dentistici non sono luoghi in cui si contrae il COVID-19 in misura preponderante; anzi, è l’ipotesi opposta che sta raccogliendo sempre più conferme scientifiche,” chiosa Ferruccio Berto, Vicepresidente Nazionale e Responsabile Commissione Esteri ANDI. “Da più parti ormai abbiamo prove scientifiche, statistiche e fattuali che sconfessano il timore verso l’odontoiatria. Eppure, la professione soffre ancora a causa di notevoli preconcetti ampiamente circolanti nell’ultimo anno e mezzo, anche in consessi indubitabili: certi contesti nazionali sono allo stremo, aspettando una ripartenza che non sembra arrivare, con migliaia di studi ancora chiusi e milioni di appuntamenti cancellati; a rimetterci, oltre al professionista, è il paziente, che in assenza di una adeguato controllo periodico si trova costretto a ricorrere a cure tardive, invasive e spesso urgenti. Speriamo vivamente come ricerche di questo tipo, solide e puntuali, riescano a far breccia in una diffusa opinione che sta danneggiando seriamente la salute e il benessere dei cittadini di tutto il mondo.”
Leggi qui l’articolo originale e lo studio ADA sull’incidenza del COVID-19 tra i dentisti americani.
Leggi qui la pubblicazione scientifica del Journal of Dental Research.